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Etnografia

Escursionismo ed Antropologia

L’escursionista si avvale di un’azione importantissima: quella del camminare, un atto  quotidiano che se utilizzato con un certo criterio, in montagna, può cambiare completamente la sua esperienza.

Il camminare  permette di compiere una funzione importante, che è quella del poter osservare, accompagnata se necessario, da  soste effettuate non solo per riposarsi ma  per valutare ed gustare meglio i particolari. Solitamente ci riteniamo soddisfatti dal compimento dell’ escursione e dal raggiungere la meta prefissata, senza renderci conto che questa azione è solo lo strumento tramite il quale possiamo compiere un innumerevole quantità di valutazioni. Possiamo in questo caso scomodare alcune “parole importanti” per capire meglio taluni concetti. Possono sembrare apparentemente estranei o secondari allo svolgimento dell’ escursione termini come geologia, metallurgia, morfologia, botanica, toponomastica, viabilità, culti antichi, ecc, ma non lo sono affatto.

AD ESEMPIO IN QUALE MODO LA GEOLOGIA E LA METALLURGIA HANNO INFLUENZATO LA VITA DELL’UOMO NEL MONDO ALPINO?

Dalla selce o dal quarzo, (Monte Misma) gli uomini preistorici hanno ricavato gli strumenti per la caccia, per le armi o per tagliare pelli. Ancora prima ha utilizzato la ofiolite ed ancora la selce (Liguria, Mon Viso) per costruire asce; successivamente ha imparato a riconoscere da quali rocce poteva ricavare metalli: rame, bronzo, ferro (Isola d’Elba, Valle Seriana, Valle di Scalve, Val Torta; Val Varrone). Con la pietra ha incominciato a costruirsi dapprima monumenti o simulacri sacri, poi gradualmente i propri ripari, con l’ardesia (Carona) o con lastre di  calcare (Val Taleggio) disposte in maniera opportuna ha costruito i tetti delle abitazioni. Da noi non si hanno notizie dell’estrazione di metalli pregiati come l’oro e qualche vaga notizia ci giunge sull’ estrazione dell’ argento (Ardesio) ma anche i metalli “nobili” sono sempre stati commerciati ed utilizzati sin da epoche antichissime.

UN TERMINE SICURAMENTE PIU’ INTUIBILE E’ QUELLO CHE LEGA LA MORFOLOGIA DEL TERRITORIO ALLA VITA DELL’UOMO NELL’AMBIENTE ALPINO

Dalla morfologia o conformazione del territorio deriva la possibilità stessa di vivere in un determinato ambiente e non dobbiamo pensare che all’ uomo di un tempo mancassero capacità e tecniche innovative. Consideriamo ad esempio i lavori di terrazzamento dei vari pendii alpini: pratica diffusa in tutto il mondo. In tal modo è stata addirittura cambiato l’ aspetto di intere vallate unitamente alla pratica del  disboscamento per ottenere pascoli che del resto, anche se noi non lo possiamo notare, se non attraverso uno scavo, sono stati anch’essi rifatti integralmente, raccogliendo le pietre, costruendo muretti e trasportando terra per intere generazioni. Le grotte hanno accolto l’uomo, ed anche gli animali, per millenni, come possono dimostrare gli studi stratigrafici condotti sull’ intero arco alpino (le grotte di Toirano in Liguria o quelle di Zorzone per la presenza dell’orso o un’anca umana, ritrovata ai Balzi Rossi, al confine Italo Francese, vecchia di  circa 250.000 anni ) . Le  “faglie” cioè il punto di incontro di diversi strati rocciosi: “punti deboli” del sistema alpino hanno permesso alle acque di erodere le valli, quindi di rendere percorribili ed abitabili i nostri  territori e sulle faglie sono impostati prevalentemente la gran parte dei valichi alpini, frequentati dall’uomo sin dalla preistoria.  Le cenge o gradoni rocciosi hanno permesso di creare molti sentieri che utilizziamo ancora oggi (Locatello – Fuipiano – il Sentiero degli alpini, in Liguria, molti dei percorsi della Guerra Bianca in Adamello ed in Dolomiti). La capacità costruttiva e di adattamento dell’uomo era comunque sorprendente, ad un osservatore attento, ad esempio, non può sfuggire che la morfologia della nostra città (Bergamo) era ben diversa da quella attuale. La ripidezza delle vie che conducono in Città Alta, le dimensioni delle strutture di contenimento, all’interno delle mura stesse, possono farci immaginare come era la Berg Hem celtica: un agglomerato costruito su rupi come è tutt’ora il Canto Alto e difeso dalle paludi che avevano creato attorno ai colli i detriti lasciati dagli antichi alvei del Brembo e del Serio.

I culti naturalistici sono un altro aspetto determinante nella storia dell’ arco alpino. Intere generazioni, dalla preistoria sino al basso medioevo,  hanno utilizzato rocce ben particolari, resistenti alle intemperie, come gli scisti con incisioni, ad esempio, scoperti recentemente in Alta Valle Brembana ( Passo S. Marco – San Simone). Non esisteva ancora la scrittura ma il pensiero dell’ uomo unitamente al desiderio del soprannaturale e dell’ eterno spinse l’uomo stesso ad immaginare e lasciare le tracce che ben conosciamo e che caratterizzano tutto l’arco alpino sino a quote elevate. (2600- 2700 m) nonché  tutto l’arco appenninico. Anzi era talmente forte e radicato questo senso religioso che non solo la pietra incisa, ma anche i toponimi e quindi i nomi di molte montagne ( pensiamo a tutte le vette himalaiane) sono giunti sino a noi quasi intatti, conservando il nome delle antiche divinità (ad es. molte vette liguri ). I culti venivano eseguiti su pulpiti naturali: per lo più grandi pietre o sulle  praterie alpine con particolarità ritenute sacre  se non addirittura sulle vette di alcuni monti o in prossimità dei valichi alpini. A proposito di toponimi e linguaggio; perché non spendere due parole sul nostro dialetto a volte così bistrattato. Facendo alcune osservazioni vediamo che in esso sono contenuti diversi vocaboli di lingua straniera, prevalentemente tedesca o inglese ma anche  francese o spagnola, come possiamo  ricavare anche dal “Dizionario etimologico bergamasco – Edizioni villadiseriane – un “vocabolario” di recente pubblicazione: dal quale possiamo comunque affermare che il nostro dialetto nasce dal gallico ma non solo e prende origine anche dal latino o dal greco, per subire in seguito altri influssi e cadenze diverse di valle in valle.

Ma l’aspetto che forse può sorprendere maggiormente, anche se spesso appare sottovalutato è quello della viabilità antica,  dalla quale  deriva ovviamente tutta la nostra rete sentieristica. Attualmente la viabilità antica appare completamente stravolta e svuotata di ogni senso. Le strade d’oggi, tranne rari casi, non ricalcano e del resto non potrebbero neppure farlo,  la viabilità preistorica o quella medioevale e tutta la rete sentieristica percorsa almeno sino agli anni cinquanta, periodo nel quale si è praticamente abbandonato lo sfruttamento delle risorse minerarie e di conseguenza anche quelle dei boschi; mirabile esempio di cultura, è ormai irrimediabilmente perduta. Anche solo per fare un piccolo esempio, provate a risalire il sentiero che da Schilpario porta al Vivione: vi sorprenderete di quanto è rapido e diretto. Analoga cosa vale anche, ad esempio, con il percorso che risale la Val Moresca, antichissimo, messo a confronto con la Via Priula. Il primo, ripidissimo, ingegneristicamente, quasi impossibile, porta direttamente al passo di Ca’ San Marco quasi senza tornati, mentre il secondo, anche perché comunque doveva consentire il passaggio di carri e non solo di carovane con bestie da soma, appare comunque molto più lungo. Non esistevano strade di fondovalle ma itinerari trasversali alle valli stesse che suddividevano i territori a scacchiera: si trattava comunque sempre di percorsi diretti che badavano poco ai dislivelli, ma che permettevano di raggiungere la meta nel minor tempo possibile. Non crediamo poi che le distanze spaventassero i nostri predecessori: il Bronzo rinvenuto a Parre, circa mille chili, in pani di qualche chilo ciascuno, sta a significare che questa materia prima veniva commercializzata su larga scala o comunque che lo stagno necessario per la produzione del metallo stesso arrivava comunque dai territori etruschi.

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