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Etnografia

La terza via

In bergamasca vi erano e vi sono ancora in parte conservate, due grandi ed antiche vie di comunicazione: la medioevale Mercatorum, che collegava  le valli Seriana e  Brembana con i Grigioni e la Priula, costruita dai veneti alla fine del cinquecento per commerciare con Coira: percorso  che  attraverso il valico di Cà San Marco raggiunge ancora oggi la Valtellina.

IL PONTE DEI SENESI

Un terzo tracciato (la così detta cavalcatoria), storicamente forse meno considerato, si dipartiva  dalla Priula stessa all’altezza dei “Ponti” di Sedrina”. Questo percorso  proseguiva per Brembilla, Gerosa e la forcella di Bura; scendeva quindi da Peghera al “Ponte dei Senesi”, raggiungeva risalendo Olda, Sottochiesa  e Pizzino, attraversava la solitaria valle Asinina, si inerpicava alla forcella di Raspalupo, ora conosciuta col nome di Passo Baciamorti e da qui, scendendo, intercettava la Valle Stabina (Valtorta). Una via sicuramente molto diretta, nonostante i dislivelli, che comunque ai tempi non intimorivano  E’ bene allora porsi alcune domande sul perché dell’esistenza di un itinerario del genere, comparabile per lunghezza ai due or ora citati e maggiormente noti. Il trasporto delle materie prime e dei prodotti – Anche se principalmente i tronchi venivano trasportati per fluttuazione e con infinite peripezie,  lungo il torrente Asinina ed Enna sino a S. Giovanni Bianco, è conosciuto il notevole commercio di legname, bestiame, foraggio e latticini verso Bergamo (notizie da Maironi e Luiselli). Per la parte alta dell’itinerario in questione,  alla leggenda è legata la traslazione  dei defunti da Valtorta, attraverso il Baciamorti, addirittura nella chiesa di S. Bartolomeo in quel di Vedeseta (a quel tempo sotto la giurisdizione milanese).  Questo notevole itinerario potrebbe nascondere ancora qualche altra possibilità (magari lavorando un poco di fantasia), ripensandolo anche come via  del ferro che metteva in comunicazione le miniere di Valtorta, con Clanezzo e con il suo cinquecentesco “maglio”, posto poco prima della confluenza del torrente Imagna con il Brembo, a proposito del  quale appunto, bisogna interrogarsi sulla provenienza della materia prima lavorata; potremmo anche immaginare una via  per il trasporto del sale, ovviamente dalla pianura verso l’alta  valle. L’escursione al ponte “dei Senesi” – La parte centrale di questo itinerario, quella che transita dal ” Ponte dei Senesi” ci regala la possibilità di effettuare  una semplice e breve passeggiata che può riempire sia il nostro tempo libero che il nostro spirito. Per quanto proposto non occorre essere dei grandi camminatori: il percorso si può affrontare tranquillamente nel  pomeriggio,  quando il sole illumina tutta la valletta ben esposta da est ad ovest. L’itinerario inizia  poche centinaia di metri oltre Peghera, in direzione di Olda, infatti sotto la chiesa  di San Giacomo,  l’antica mulattiera scende in forte pendenza verso il  ponte suddetto. La chiesa appena citata ha custodito per secoli una famosa pala del 500, ora in fase di restauro,  dipinta da Jacopo Negretti detto  Palma il Vecchio. Ma diamo inizio alla nostra escursione verso il ponte “dei Senesi” posto alla confluenza della Valle Sfrino con il torrente Enna. Lungo il percorso troviamo alberi di nocciolo, faggio, carpino  e di acero  L’ itinerario, come detto, è abbastanza ripido per cui  era percorribile a piedi o con muli ma certamente non con i carri. Tale pendenza inoltre doveva causare indubbie difficoltà durante il periodo invernale. Il selciato è ovviamente in calcare e la larghezza della carreggiata: circa due metri, è di tutto rispetto. Da qui nell’ultimo decennio dell’ 800 è passata la campana della parrocchiale di Pizzino, dodici quintali di bronzo, trasportati utilizzando un robusto  slittone manovrato da una squadra composta, presumibilmente,  da almeno una ventina di persone: un trasporto durato alcuni giorni per il solo tragitto dalla Forcella di Bura in quel di Pizzino stessa, impresa ricordata ancora ai giorni nostri. Inaspettatamente lungo il percorso si trovano diverse radure presidiate da baite alcune delle quali  ristrutturate, altre purtroppo in rovina;  sono comunque da notare, subito prima del ponte, alcune strutture con  pietre di base ben squadrate e di notevole dimensione: ricordiamo che tutto il lavoro era ovviamente eseguito  a mano. Data la presenza antropica e il probabile utilizzo della legna per costruzione e riscaldamento, non si trova traccia di forni per la calce o carbonaie, manufatti posti solitamente in luoghi più reconditi ma sempre comunque lungo gli itinerari di comunicazione. Ai lati della mulattiera,  nel periodo autunnale  fiorisce, ormai ultimo della stagione,  il  “colchico” ,  che  probabilmente a causa del terreno fertile, oltre che bello, appare anche di notevoli dimensioni; attenzione, ammiratelo ma non coglietelo: la sua secrezione è mortale; sempre in autunno si possono notare anche le bacche di color nero del “Sigillo di Salomone”. Il ponte dei Senesi, un tempo in pietra e a “schiena di mulo” come quello della “Forcola” che scavalca il  torrente Asinina  poco sotto “Cà Corviglio”, è stato distrutto da due storiche piene nel  54 e nell’ 87  ed  ora la struttura originaria è stata sostituita da un “anonimo” manufatto rettilinea in cemento armato. L’itinerario ci mostra, senza correre pericoli, la complessa situazione orografica della valle e come, nonostante questo, il territorio stesso sia stato sfruttato in ogni sua  singola porzione. Adiacenti al ponte si notano insediamenti di mole notevole. Erano costruzioni molto ben curate ma ora purtroppo ridotte a rudere: fortunatamente nell’edificio principale, (oltre il ponte stesso, sulla sinistra orografica) una trave di ferro, aggiunta nel tetto, in luogo di quella originale in legno, ne evita per il momento il crollo. Nell’opuscolo curato da  Franco Radici, edito dalla Provincia nel 95,  si vede chiaramente la trave originale in legno spezzata in due, si nota anche parte del portone ormai scomparso. In alcune foto più antiche,  compare ancora il portone intero,   seppur eroso dal tempo ed una parte di muro,  ora crollato,  nel quale si apriva una finestra: di essa è rimasto solo un montante abbandonato sul terreno. In questa costruzione si notano ancora i due grossi cardini in ferro del portone suddetto: nella loro semplicità, vale comunque la pena di osservarli perché, rispetto alle realizzazioni tradizionali appaiono  di notevoli dimensioni. La copertura del tetto, come quella di altre baite circostanti è in coppi e quindi si discosta da quella  tipica in pesanti lastre di calcare delle abitazioni di questa valle. Risalendo verso Olda,  si notano altre baite , pascoli soleggiati ed un piccolo ma suggestivo ponte in pietra che denota ancora una volta  l’estrema cura ed altrettanta attenzione verso il territorio e le sue risorse. In questo tratto il torrente Enna scorre in piano, la sua corrente si placa in un piccolo laghetto ed è proprio per questo che forse è stato scelto questo tratto di valle per attraversare il fiume. Durante la sosta presso il ponte sorgono comunque spontanee alcune domande, innanzi tutto la curiosità corre all’origine del toponimo di questo luogo e sicuramente ci si può interrogare sull’utilizzo delle costruzioni in pietra qui presenti. Per rispondere a questi interrogativi possiamo riferirci al testo di Bernardino Luiselli: Storie valligiane dell’ Ottocento. Attraverso le notizie raccolte scrupolosamente ed è inutile sottolinearlo con passione dall’autore stesso, questo luogo riemerge dalle nebbie del tempo dandoci la possibilità “virtuale” di ricostruirne la storia nella nostra mente.

LA STORIA

Il Ponte costituì per  secoli l’unico importante punto  di congiunzione tra le due sponde dell’Enna. Lo costruirono i “Senesi”, uno dei rami del Clan degli Offredi, che, con licenza de’ Superiori, ne riscuotevano il pedaggio, detto appunto “pontatico”. (Nel libro dell’estimo della Comunità di Taleggio -1663- conservato nel Municipio, figurano un Bernardo, un Santin e altri Senesi con persona, casa et fogo, horto, terra et vache, nella quadra di Peghera). Pare che questo casato, bandito dall’originaria Toscana all’epoca del conflitto tra Guelfi e Ghibellini, avesse trovato riparo in Valle Taleggio. Si racconta che talvolta, nell’esazione del tributo, coltello serramanico e randello sostituissero spicciativamente la rituale procedura ingiuntiva. Occasionalmente, a far pagare il balzello pare ci si mettessero, beninteso per conto proprio, anche i briganti, che con orsi e lupi, infestavano quelle selvose montagne. Dal ponte, centro di raccolta delle vie interne della valle, era possibile proseguire, come indicava un cippo in  pietra murato in uno dei vecchi fabbricati, per Vedeseta, Olda, Sottochiesa e Pizzino, località quest’ultima capotermine della “Ferdinandea”. E’ da sottolineare che il cippo viario purtroppo è stato indebitamente asportato, togliendo così al visitatore la possibilità di cogliere questo importante aspetto della storia locale. Della “Ferdinandea”  ci giunge notizia sin dal primo quarto di secolo del 1800. Essa era stata resa più agevole dalle opere di miglioria eseguite da Francesco Marioli, “Impresario stradale” – Il quale, il 7 febbraio 1824 – aveva “avanti l’ Imperial Regia Delegazione Provinciale di  Bergamo abboccata la costruzione del nuovo tronco di Strada Regia, che da Peghera mette alla Valle dell’Acqua”. Lire austriache 14.430 era stato l’importo del contratto d’appalto: due terzi ” a carico dell’ I.R. Erario e l’altro terzo a carico della Cassa Comunale. In omaggio al sovrano, felicemente regnante pro tempore , alla strada così rimessa a nuovo fu appunto dato il nome di “Ferdinandea”. Sempre la famiglia dei Senesi impiantò nei pressi del ponte un mulino ed un’osteria. In questa sembra che al cliente schizzinoso, o che avesse da dire sul conto, fosse riservato un trattamento analogo a quello messo in atto per i debitori morosi dal gabelliere e dai suoi coadiuvanti. Né si può escludersi che esattore e taverniere fossero la medesima persona”.

IL DAZIO DEL PANE

“A metà dell’ottocento i gabellieri sono spariti dal ponte dei Senesi, al loro posto subentra il dazio di consumo forese di prestino e pane” lo ha in sub appalto  – toh guarda- ancora un Offredi, la cui gestione però , almeno a sentir la clientela, lascia molto a desiderare. A norma di legge gli spetta l’esclusiva nella fornitura del pane ai rivenditori di tutta la valle. Ma i commercianti si lamentano;  il fornaio,  a sua volta,  in un esposto all’Intenditore di Finanza di Bergamo denuncia che  – ” essi si provvedono in altri Comuni” senza corrispondere il dovuto dazio e quindi a grave danno del petente”…..Le michette dell’ Offredi, c’è chi ribatte ” oltre ad essere mal cotte e malcondizionate” sono anche dannose alla salute. Lo ha accertato il medico condotto, che,  su mandato dell’Amministrazione, ne ha ” tolte alcune dall’officina del  fornajo medesimo” per esaminarle. Il pane era un genere di lusso per molte famiglie, che l’acquistavano solo quando occorreva ” per pancotto o altro bisogno di malattia” …..il pane , ingiungeva un provvedimento, doveva essere confezionato con ” farina purgata da qualsiasi benché minima quantità di Roggiolo o crusca”….la questione dell’ Offredi si trascinò a lungo e con varie vicissitudini, non escluso l’intervento della gendarmeria….alla fine l’incauto “fornajo” rinunciò al subappalto, dietro, comunque un indennizzo. Il pane, ora, i valligiani possono acquistarlo direttamente dal Comune, che se ne provvede dal prestinaio ” dei Ponti di Sedrina”, nientemeno!

E da ultimo ancora due spunti, questa volta in diretta dalle osservazioni del Luiselli. Uno  riguarda i ruderi della costruzione situata, per chi giunge da Peghera, poco prima  del ponte (delle notevoli dimensioni delle pietre di base di questa abitazione ho accennato all’inizio dell’articolo): l’edifico era abitato da monaci ancora verso gli anni cinquanta di questo secolo,  allorquando un’esplosione ha ridotto in macerie l’abitazione (al momento sembra abbandonata da secoli). L’atro appunto riguarda il cascinale che si trova sulla sinistra della carrareccia che sale verso Olda, appena superato il ponte e gli imponenti ruderi della casa Offredi, si trattava di una segheria azionata ad acqua, poi trasformata in stalla ed ora apparentemente in disuso.

Buona gita.

Con la collaborazione di Battista Cerea

LA PALA DELLA PARROCCHIALE DI PEGHERA

Da: L’Eco di Bergamo del 31 luglio 2009 – Torna nella sua collocazione originaria, nella sua sede storica e «propria», la chiesa parrocchiale di San Giacomo a Peghera (frazione di Taleggio), un’ importante polittico di Jacopo Negretti, più conosciuto come Palma il Vecchio (Serina, Bergamo, 1480 ca.-Venezia 1528): illustre pittore di scuola veneziana, allievo di Giovanni Bellini. Il dipinto, noto come «pala di San Giacomo», è ascritto, dal più autorevole studioso del pittore, Philip Rylands, al 1515 circa. È un polittico a due ordini, composto da sette tavole su legno. Una lunetta con il Padre Eterno; Sant’Ambrogio, Cristo sorretto da un angelo e Sant’Antonio abate, a mezzo busto, nel registro superiore. A figura intera, nel registro inferiore, San Sebastiano, San Giacomo (ovviamente al centro), San Rocco. Dal 2002 il dipinto era in restauro presso l’Opificio della pietre dure di Firenze. «L’opera – spiega don Ernesto Vavassori, amministratore parrocchiale della chiesa di Peghera, docente di Storia e filosofia al Collegio Sant’Alessandro, nonché uno dei “motori” primi dell’iniziativa – nel 2001 era stata richiesta dall’Accademia Carrara per la mostra “Bergamo l’altra Venezia” (aprile-luglio 2001). Secondo gli accordi l’Accademia si impegnava a fare l’intervento di restauro. Prima della mostra non c’era tempo, in esposizione sono andate alcune tavole ripristinate alla meglio. Lo stato di conservazione era precario. Grazie all’intervento della Sovrintendenza di Milano, in particolare della dottoressa Emanuela Daffra, il dipinto è stato inserito in un progetto per cui del restauro si è fatto carico l’Opificio delle pietre dure di Firenze, dove è arrivato nel 2002. Il lavoro è molto pregevole. Per la prima volta si provvede non solo al manto pittorico, ma si è andati a lavorare in modo molto significativo sul supporto ligneo. Il legno, muovendosi, inarcandosi, deteriorandosi, era il punto più debole. Anche la cornice, moderna, dei primi del Novecento, è stata sistemata. Ora il quadro ritorna finalmente nella sede in cui è sempre stato, da secoli. Una posizione molto alta, bella, ove troneggia su tutta la chiesa: nel catino absidale, sopra l’altar maggiore».

Giugno 2011, in una domenica piena di sole ho finalmente l’opportunità di visitare la parrocchiale di Peghera (sempre aperta la domenica) per ammirarne la stupenda pala. Il restauro è evidente, i colori sono accesi e l’insieme dell’opera spicca notevolmente. Il silenzio che circonda il visitatore, abituato alla città ed ai sui rumori, appare del tutto surreale: se transitate per la Valle Taleggio, programmate una visita a questo luogo, ne vale sicuramente la pena.

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