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Etnografia

Nelle miniere della val di Scalve

Testo scritto per: “Aria Fresca” raccolta di itinerari dedicato ai ragazzi,  a cura della Commissione Regionale Alpinismo Giovanile Lombarda

Un giorno uno gnomo, vagando nel bosco vicino al paese, vide due boscaioli che discutevano. Incuriosito s’avvicinò per ascoltare i loro discorsi. Apprese così che le quattro sorelle si vantavano di aver gabbato i temibili folletti del bosco. Il folletto, adirato, corse ad avvisare il loro capo, il quale indisse immediatamente un’assemblea dei propri sudditi per emettere una terribile sentenza… L’indomani, l’ultimo sabato in cui le fanciulle sarebbero salite ad incontrare i nani, non sarebbero più tornate alle loro case. Quando le videro apparire, le invitarono con semplici lusinghe a seguirli e le quattro ragazze andarono con loro attratte da una forza misteriosa….Ad un tratto un lampo accecante illuminò le rocce e la vallata immersa nel sonno e la terribile vendetta  dei folletti si compì: le ragazze si erano trasformate in pietra…

IN CAMMINO DENTRO LA MONTAGNA

SUI SENTIERI DEL FERRO

SICURAMENTE IN VALLE DI SCLAVE QUELCHE FOLLETTO ESISTE ANCORA NEI BOSCHI O NELLE MINIERE CHE ANDREMO A VISITARE

Qui da sempre si lavora il ferro: lo si cavava dalla “ena” (1) in autunno ed in inverno, mentre il carbone necessario alla sua fusione  si produceva sia in primavera che durante l’estate. Ancora in autunno il  “maister” (2) procedeva alla fusione del ferro o della ghisa. Il legname da costruzione o da carbone si ricavava dal bosco che attraverseremo prima di raggiungere la miniera. Basterà compire qualche passo per entrare in una favola. Questo sentiero era percorso dagli “strusì ” (3) che con la “lesa” (4) trasportavano il minerale di ferro prima alle “reglade” (5) e poi negli “scuter” (6) per poter alimentare il forno fusorio, nei pressi del quale vi erano altri depositi chiamati “maneghe” , che cosa contenevano? (7). Lungo il percorso, su di un pianoro,  troveremo due grossi “imbuti” in pietra, attenti a non caderci dentro, si tratta di due  “reglade” una abbastanza grande ed una molto più piccola, per cosa venivano utilizzate ? (8). Se guardiamo bene fra le rocce scoveremo anche una scaletta in pietra che sembra condurre al fiume, nei pressi del quale invece  si apre un enorme voragine nera: si tratta di una miniera, cosa vi si ricavava (9) ? Proseguendo lungo il percorso troveremo anche due ” gial”: da cosa si riconoscono ? (10). Ma non sono solo  queste le cose da osservare: il muschio, il fogliame, i funghi, i nidi, la diversa compattezza del terreno, le rocce scavate dal passaggio delle slitte, gli imbocchi delle gallerie ormai abbandonate sono solo alcune delle curiosità che ci attendono, basterà osservare o ascoltare bene ed una infinità di cose appariranno ai nostri occhi; noteremo anche grossi cumuli formati prevalentemente da  aghi di pino, si tratta dei famosi formicai della Valle di Scalve. Tuttavia  quello che vi impressionerà di più saranno gli enormi pini che vi sovrastano: essi costituiscono da sempre la ricchezza della valle. Dopo circa  un’oretta arriveremo nelle vicinanze della miniera che alcuni appassionati hanno riattivato per le visite. Siete mai entrati in una montagna ? per millenni molti uomini vi hanno lavorato in condizioni di fatica incredibili ed alcuni non sono più tornati. Chi conosce le gallerie potrebbe camminarci per giorni e giorni. Voi ne percorrerete un breve tratto ma che, ugualmente,  vi  permetterà di attraversare “secoli di storia”. La  miniera si chiama Berbera, ed ogni tratto presenta caratteristiche diverse. Percorrerete un tratto di “decaunville” (11) attraverserete uno strato di “sterile” (12) poi uno di   la “lignola” (13) ed ancora camminerete attraverso un “lungobanco” (14). Per ricavare il minerale venivano effettuate le “volate” e gli “avanzamenti,  gli  esplosivi venivano conservati nella ” riservetta”. Da ogni parte compariranno gallerie antichissime scavate con metodi rudimentali e che si perdono chissà dove. Noterete anche  scale in legno che collegavano i vari “livelli” (15) oltre ad altre attrezzature che servivano per lo scavo ed il trasporto del materiale. I minatori dormivano in rudimentali baite e si coprivano con i “peloch”. In miniera lavoravano anche ragazzi molto giovani, come si chiamano e che cosa utilizzavano per il trasporto del materiale ? (16)… queste ed altre cose ancora vi verranno spiegate, connesse a questo mondo che ormai non esiste più …. Ma nel frattempo ci eravamo dimenticati dei folletti….dove saranno finiti…. probabilmente staranno cercando i bellissimi cristalli che la montagna nasconde gelosamente, di quali si tratta (17)?

SCHEDA TECNICA

Lo scopo della visita in Valle di Scalve è quello di avvicinarsi ad uno spaccato storico che, considerato nel suo insieme, rappresenta sicuramente caratteri di unicità: anche se una sola visita non basterà per capire a fondo le complesse problematiche nonché le vicissitudini che hanno retto l’economia di questa valle. Qui l’uomo era al contempo: agricoltore, carbonaio, boscaiolo, minatore, metallurgico, artigiano, il tutto suddiviso rigorosamente nell’arco dell’ anno per un’economia che ha sempre vista sfruttare in maniere integrale ogni risorsa sia umana che del territorio. La proposta accomuna una breve escursione alla visita della miniera “Berbera” con lo scopo di unire due mondi diversi ma sicuramente complementari. L’escursione ad anello prende avvio dalla miniera del Gaffione, posta alcuni chilometri poco dopo Schilpario percorrendo la strada che conduce al passo del Vivione. Si percorre il sentiero ben segnalato N° 426 che da circa 1100 m conduce a quota 1400 per poi ridiscendere all’ imbocco della miniera Berbera: il tutto per un’ora circa escluso soste didattiche e di osservazione.  Per la visita alla miniera occorre prenotarsi  alla cooperativa Ski Mine di Schilpario. Caschetti e mantelline verranno distribuite all’ingresso.

LE QUATTRO MATTE: LA LEGGENDA DELLA VAL DI SCALVE

Abitavano, un tempo, a Colere, paese posto sotto le pendici della Presolana, quattro giovani sorelle, belle e vanitose, più di un giovane se n’era innamorato, fino a compiere le più strane pazzie per conquistarle, ma senza alcun risultato. Gli anni però passavano anche per loro e prima che la bellezza e la leggiadria dei loro volti appassisse, decisero di fidanzarsi, Scelsero quattro avvenenti pastori del posto, fratelli anche loro. Si era ormai vicini alle nozze e l’ argomento era all’ordine del giorno nell’intera valle, quando in un fresco mattino di primavera accadde l’imprevisto. Recatesi a far legna nell’ abetaia che si arrampica fino ai piedi della cupa parete est della Presolana, le sorelle incontrarono un gruppo di gnomi. Erano questi, abitatori del bosco, degli esseri strani, di piccola statura e di aspetto alquanto buffo e ridicolo. Gli abitanti della Val di Scalve evitavano questi esseri e rabbrividivano solo a nominarli. Ad essi attribuivano il potere di rivestire la montagna di bianco, di scatenare le bufere più violente, di provocare frane e valanghe. In poche parole a loro erano attribuiti tutti gli eventi tragici che avvenivano nei boschi e sulle rupi della montagna. Le quattro sorelle ne avevano sentito parlare, ma per il loro carattere irrispettoso, presero alla leggera l’incontro fissato con gli spiritelli. Esse, divertite, invitarono gli gnomi a consumare la colazione in loro compagnia. Continuarono poi la giornata con balli e canti con la strana compagnia dei folletti. I nani, invaghitisi delle ragazze, si fecero promettere che ogni sabato, al calar del sole, sarebbero tornate all’abetaia con loro. Era un pegno d’amore che le fanciulle, scherzosamente, sottoscrissero. Ogni sabato sera, le quattro sorelle, tornarono all’abetaia per incontrare i folletti, credendo di poter impunemente beffarli. Ma un giorno uno gnomo, vagando nel bosco vicino al paese, vide due boscaioli che discutevano. Incuriosito s’avvicinò per ascoltare i loro discorsi. Apprese così che le quattro sorelle si vantavano di aver gabbato i temibili folletti del bosco e che sarebbero andate in sposa ai quattro fratelli pastori. Il folletto, adirato, corse ad avvisare il loro capo il quale indisse immediatamente un’assemblea. Nella notte cupa, gravida di cattivi presagi, mai si videro sulla Presolana così tanti gnomi. Essi erano giunti da ogni dove ad emettere la sentenza contro le figlie degli uomini, ree di tradimento. L’indomani, l’ultimo sabato, in cui le fanciulle sarebbero salite ad incontrare i nani, non sarebbero più ritornate alle loro case. Questa fu la sentenza del Gran Consiglio dei folletti. Alle parole di vendetta pronunciate dal re degli gnomi, anche le piante rabbrividirono e gli animali scapparono nel folto della boscaglia per cercare riparo. Venne l’alba, il sole risorto, inondò la vallata, riscaldandola.. Quando già si preparava per morire nuovamente dietro la Presolana, le quattro sorelle salirono, ridendo, all’abetaia per dare l’addio ai loro piccoli amanti. I folletti stavano ad aspettare, bianchi in volto, con sguardo cupo e minaccioso e, quando le videro apparire, le invitarono con semplici lusinghe a seguirli. Ovunque, lungo il loro cammino, era silenzio, mistico, irreale. Le ragazze seguivano i piccoli nanetti come automi, attratte ad una forza misteriosa. Salirono per scoscesi pendii, superando anfratti e cenge e man mano, ai primi, si unirono altri folletti.. Mentre salivano, gli gnomi, cantavano una nenia, strana, ammaliante e le membra delle fanciulle diventavano sempre più rigide e fredde. Quando i folletti furono giunti sulla sella a piccolo su Colere, pronunciarono alcune parole magiche, quindi si allontanarono intonando un’altra nenia, lugubre e triste. Le quattro sorelle, impazzite di terrore, restarono immobili, l’una accanto all’altra a guardare l’abisso sottostante. Un lampo accecante illuminò le rocce e la vallata immersa nel sonno e la terribile vendetta ei folletti si compì: le ragazze si erano trasformate in pietra. All’alba un pastorello uscito dal suo riparo per portare le pecore al pascolo, udì un flebile lamento salire verso il cielo azzurro. Egli vide le quattro figure e corse al paese a chiamare aiuto. Ma ormai gli uomini accorsi sul posto, non poterono fare più niente per le quattro disgraziate: esse erano divenute parte della montagna stessa e per sempre sarebbero rimaste nel regno dei folletti. Ancora oggi a picco sul paese di Colere si ergono quattro pinnacoli incastonati tra due poderose cime, chi , nelle fresche mattine domenicali sale sulle creste della Presolana ode ancora il lamento delle sorelle: le Quattro Matte.

 (Da: Folecc, Diaoi e Madone… Leggende della Valle di Scalve, raccolte da Maurilio Grassi; museo Etnografico di Schilpario, quaderno N° 4)

CARTOGRAFIA E RIFERIMENTI

Cartina: Le escursioni in Valle di Scalve,a cura della comunità montana: Telefono per prenotazione della visita guidata 0346 55367.

E’ consigliata anche la visita al museo etnografico di Schilpario.

Ulteriori ed approfondite notizie si trovano sul sito www.scalve.it

Luogo di partenza                   Miniera del Gaffione (1260 m)

Meta                                       Miniera Bérbera ( 1330 m)

Dislivello                                 Quota massima 1450 m. Attraverso il sentiero C.A.I. N ° 426

Tempo di percorrenza            1.30 -2h  per il percorso ad anello, 1.30 -2h  per visita alla miniera

Periodo consigliato                  aprile/ ottobre

Difficoltà                                 facile

Vie di accesso                          Bergamo – Lovere

Interessi                                  Storici, etnografici, paesaggistici, naturalistici

Riferimenti cartografici           Cartina: le escursioni in Valle di Scalve

Punti di appoggio                    Ristoranti o simili a Schilpario

1) La “ena” è il banco di minerale che il minatore attraverso le gallerie raggiunge e scava. Un tempo le miniere partivano dalla sommità delle montagne e si sviluppavano verso il basso: i vecchi dicevano che prendevano la vena per i capelli.

2) Il “maister” veniva  incaricato dai proprietari per condurre le operazioni di scavo nella miniera o la conduzione del forno fusorio, dove il mestiere veniva tramandato da padre in figlio, tenendo gelosamente segrete le procedure necessarie. Queste persone dovevano garantire la propria presenza 24 ore su 24 , da loro dipendeva la buona riuscita della “sea” ossia della fusione del minerale che dal crogiolo fluiva negli stampi.

3) Gli “strusì” trasportavano il  minerale dalla miniera al forno di riduzione. 

4) La “lesa” era la slitta utilizzata per il trasporto del minerale. Su quella utilizzata nel periodo invernale vi si caricavano sacchi per un peso totale di 8/9 quintali, cioè circa 8 some, una soma corrispondeva a 90 Kg. Per fare una soma ci volevano 3  “quarter” ; per ogni quarter caricato si metteva un sassolino nel “criel”, così alla fine si faceva il conto del peso trasportato. Sulle lese estive si caricavano 5/6 quintali. Si incominciava a trainar slitte a 12/13 anni in questo caso erano più corte, ma sempre della stessa larghezza per poter passare nelle canaline che col tempo si formavano nella pietra. Per ogni slitta vi erano pattini di legno e  stagionatura diverse a secondo delle condizioni del terreno, venivano cambiate ogni giorno affinché quelle appena utilizzate potessero asciugarsi.

5) Le “reglade” erano forni di torrefazione del minerale, che cuocendosi  perdeva circa il 25% del propio peso.

6) Lo “scuter” era il deposito del minerale presso il forno fusorio.

7) La “manega” era il magazzino predisposto per contenere il carbone utilizzato nel forno fusorio.

8) La “reglada” veniva costruita con pietre sino a formare un grosso cono interrato, alla base vi era una bocca di scarico dalla quale si recuperava il minerale torrefatto.

9) Avvicinandosi a questa miniera noterete sparse sul terreno tante piccole scaglie lucenti, sono  frammenti di ematite estratta dalla miniera stessa. L’ematite è un minerale che contiene ferro sino al 70% .

10) La “gial” è il luogo dove si trasformava la legna in carbone. Nel bosco veniva ricavato un pianoro, utilizzando anche muretti in pietra, si accatastava la legna tagliata opportunamente e poi si ricopriva il tutto con frasche, muschio e terra.. Si formava così  il “poiat” cioè una grossa cupola con un foro al centro nel quale veniva inserita della brace. In tal modo si iniziava la combustione della legna che gradualmente si trasformava in carbone. Alcuni “poiat” cuocevano ininterrottamente per otto o nove giorni, ma ve ne erano di enormi come quelli che producevano  200 quintali di carbone, per i quali si utilizzavano mille quintali di legna e che bruciavano per 20 giorni.

11) La “decaunville” era una ferrovia mineraria.

12) Una parte della galleria attraversa un banco di roccia non produttiva chiamata appunto: lo sterile.

13) La “lignola” è  un “banco” di minerale, ossia uno dei diversi strati di minerale che hanno dato vita all’industria estrattiva di queste zone.

14 Veniva denominata “lungobanco ”  il tratto di galleria che attraversava il giacimento produttivo, cioè il minerale, in questo caso la siderite.

15) Per sfruttare al meglio gli strati di minerale e cercare nuovi giacimenti si scavavano gallerie sovrapposte e a distanze prestabilite, che formavano i varo livelli. Ogni livello era collegato da “fornelli” ossia cunicoli inclinati, che permettevano di scaricare il minerale da livello a livello.

16) Il trasporto del minerale, prima dell’utilizzo dei vagonetti, veniva effettuato dai “purtì”, ragazzi di età compresa tra gli 11 e 15 anni. Questi ragazzi utilizzavano “ol gilè gros” giacca di panno pesante indossata per meglio sopportare il dolore alle spalle durante il trasporto del minerale con una apposita gerla.

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