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Etnografia

Sul sentiero degli originari

Testo scritto per: “Aria Fresca” raccolta di itinerari dedicato ai ragazzi,  a cura della Commissione Regionale Alpinismo Giovanile Lombarda

L’uomo  si alzò , nella mano destra stringeva un lungo bastone che fece ruotare lentamente indicando prima la sua tribù e quindi la piccola mandria. Quel gesto significava che tutti dovevano essere pronti, poi lentamente puntò il bastone verso la montagna: il momento della partenza era  giunto, ma per arrivare sugli alti  pascoli,  ricchi di foraggio, di animali selvatici e di acqua,  avrebbero dovuto  superare il valico. Questo passaggio  li sovrastava  di mille metri e bisognava aprire un solco nella neve dura  lasciata dall’inverno.  Si mossero in silenzio, quasi a sottolineare l’importanza del momento. I rotoli di pelli, gli archi per la caccia, la carne salata, i lacci in cuoio per le trappole: tutto era stato preparato  da tempo con cura e per i giovani si trattava sempre di una grande avventura. Quando arrivarono, uno degli anziani si staccò dal gruppo e per propiziarsi gli elementi della natura,  incominciò ad incidere alcune rocce…

SUL SENTIERO DEGLI ANTICHI ORIGINARI

Attualmente nei pressi di quel valico esiste un rifugio, anzi un’ antica casa cantoniera,  Cà San Marco,  costruita nel 1600  dalla Repubblica Veneta che sin qui estese il suo dominio, sulla facciata principale vi appare una scultura simbolo dell’ antica potenza marinara: che cosa raffigura? (1) A lato della costruzione si diparte una strada selciata, sono i resti dell’antica Via Priula, costruita ancora da Venezia per collegare Bergamo  con i Grigioni e raggiungere così il centro Europa. Alcuni tornati ci portano al passo posto a  1992 metri di quota  e caratterizzato da un grande omino in pietra; ma se vi guardate attorno,  prima dell’omino scoprirete qualche cosa di curioso (2) Lungo questo breve tragitto, nei periodo opportuni sbocciano magnifiche fioriture: sapreste riconoscerle, inoltre noterete macchie di rododendri alcune delle quali appaiono devastate dal fuoco: quale è la causa di simile devastazione? (3) Ora possiamo percorrere alcune centinaia di metri della Priula  sul versante valtellinese e quindi risalire verso un cartello in legno posto nei pressi del  il sentiero N° 101: il grande sentiero che percorre tutte le Orobie occidentali. Stiamo camminando lungo le pendici del monte “Segade” mentre sulla sinistra ci sovrasta un imponente massiccio: il Monte Fioraro; ma  perché si chiamano così?, guarda in appendice (4)  Ancora più a sinistra osserveremo un promontorio con il filo di cresta percorso  da un lungo solco; sono “trincee”, cioè  i resti di un enorme progetto difensivo voluto  dal generale Cadorna, per arginare eventuali invasioni lungo l’arco alpino, durante il conflitto mondiale del 15/18.  Il panorama in questo punto è grandioso, ai nostri piedi si estendono alcuni circhi glaciali e tutta la Valtellina arginata sull’orizzonte da immense montagne sempre innevate come il Badile, il Pizzo Cengalo ed il monte Disgrazia, ma a proposito che cos’è la “linea Insubrica”?  (5) Continuando lungo le pendici del Segade, sulla testata della valle d’Orta, si percorre un’aerea cresta  sino alla Bocchetta d’Orta (2070 m) e quindi si discende per un breve ma ripido canalino in direzione del rifugio Madonna delle Nevi, per poi  riprendere il cammino a  mezza costa lungo i pendii del Monte Fioraro: è l’unico punto in cui bisogna porre un poco d’attenzione. Ben presto si raggiunge la solitaria Baita Colomber, (m 2050 m ) posta al di sotto dei ripidi pendii del Fioraro, nei pressi  noterete alcuni muretti a secco che costituiscono i recinti per le mandrie,  come vengono chiamati localmente? (6) sicuramente vi saranno cavalli lasciati allo stato brado che susciteranno  interesse e curiosità. Avrete gia notato che i massi di questi luoghi non sono di un solo tipo, sapreste riconoscere le rocce più giovani dalle altre? (7), alcune di esse si caratterizzano anche per la presenza di inclusioni o pieghe del tutto caratteristiche: tenete dunque pronta la curiosità e la macchina fotografica. In lontananza noterete altri alpeggi,  ognuno di essi ha un nome ed alcuni una storia del tutto particolare, come avremo modo di vedere fra qualche passo… o meglio fra alcune righe. Proseguendo sempre  in diagonale si arriva al così detto  Passo della Porta, nome emblematico, ma che può metterci sull’avviso per le cose che fra poco incontreremo. Superato questo passo, in realtà un minuscolo intaglio posto a mezzo di un lunga costiera montuosa, entriamo in un grande anfiteatro, soleggiato ed estremamente panoramico: noteremo subito la presenza di altri recinti in pietra, di un lunghissimo  e rettilineo muretto a secco, alcuni ruderi di baita ed un’ altro grande “ometto in pietra” come quello che avevamo visto al passo di San Marco. Qui sicuramente potremo concederci una sosta, anche perché abbiamo raggiunto questo luogo  per vedere…ciò che non si vede; o meglio che solitamente non si nota perché…. Infatti se incominciate ad osservare attentamente alcune delle rocce circostanti vi accorgerete di alcune particolarità: di cosa si tratta? (8)  Ma il cammino è ancora lungo, ed è meglio quindi proseguire, fatti alcuni passi tuttavia, incontreremo un’altra baita, apparentemente è uguale alle altre, ma è propio vero? (9) noteremo anche alcuni cumuli di pietre, a cosa servono? (10) oltre ad una piccola costruzione in pietra mezza diroccata, attraversata da un rigagnolo d’ acqua: perchè? (11) Poco dopo la baita, il sentiero, utilizzando alcuni tornati sale rapidamente superando una grande morena glaciale per raggiungere il crinale del Monte Azzaredo (2090 m). Oltre lo sparti acque ci attende una ripida discesa che ci permetterà di raggiungere la Baita di Piedevalle (1994 m) posta al termine di un insolito pianoro formatosi in seguito al riempimento di un piccolo lago glaciale alpino. Qui ci potremo propio riposare ed aprire lo zaino per attingerne le provviste, ma attenzione, guardatevi bene attorno e le pietre sulle quali siete seduti, perche? (12) La Baita di Piedevalle è utilizzata nei periodi estivi per la conduzione delle mandrie e la produzione di formaggi, sicuramente potrete parlare con i pastori e farvi spiegare come si produce un buon “formai de mùt” e quali sono gli strumenti utilizzati. (13)

Ora percorreremo ancora per qualche centinaio di metri il sentiero N°101, lungo i fianchi del Pizzo Rotondo per raggiungere il piccolo laghetto di Cavizzola, dove  il sentiero n° 111 ci permetterà di scendere  al rifugio Madonna delle Nevi: punto di arrivo del nostro itinerario. Lungo il percorso incontreremo un altro alpeggio: la Casera Siltri ( 1730 m ) dove  alcuni pastori sicuramente ci potranno dare utili informazioni. Ma i motivi di interesse, altre al bel panorama ed all’ allegria della comitiva, sono finiti?,  no di certo, qualcuno fra di voi avrà notato che poco altre al laghetto di Cavizzola, in mezzo al sentiero, vi è una pietra spezzata, con un incavo scolpito, ormai siete esperti, avrete gia capito di cosa si tratta, ancora una volta quella pietra ci parla di un lontano passato, ma come mai è propio qui? (14) ve ne saranno delle altre ? La risposta è affermativa, infatti poco lontano, prima di entrare nel bellissimo bosco che attraverseremo per arrivare al rifugio, in un  recinto per le mandrie, scolpiti sulle rocce vi sono altri segni di frequentazioni molto antiche,  che come sicuramente avrete capito,  costituiscono una delle  caratteristiche principali  di questi luoghi.

SCHEDA TECNICA 

L’escursione inizia dall’antica cantoniera veneta di  Cà San Marco (1850 m ),  raggiungibile sia da Bergamo che da Sondrio lungo strada asfaltata. Dalla cantoniera si prosegue lungo la Via Priula” che si diparte sulla destra del rifugio sino a raggiungere il passo di San Marco ( 1985 m). Dal passo, seguendo il sentiero N° 101, si prosegue percorrendo le pendici settentrionali del Pizzo  Segade, sino a raggiungere una forcella, Bocchetta d’ Orta, ( 2070 m – 1 h) che offrirà alla vista l’intero percorso.  Proseguendo ancora a mezza costa si raggiunge il passo della Porta ( 2023  m – 1 h) caratterizzato da un grande “ometto ” in pietra e dalla presenza di recinti costruiti a secco. Proseguendo lungo l’itinerario, si raggiunge poco dopo  la baita  Azzaredo, ricostruita più volte. Il sentiero N° 101 si dirige ora verso una grandiosa morena glaciale, per poi inerpicarsi in direzione di  un secondo valico ( monte Azzaredo) che  permetterà di accedere al pianoro glaciale delle baite di Piedevalle ( 1994 m – 3h dalla partenza). Nei pressi del laghetto di Cavizzola, abbandoniamo il sentiero N° 101 che prosegue verso la Forcella Rossa, S. Simone e raggiunge Foppolo ed imbocchiamo il sentiero N° 111 che ci porterà in ore 1.30  al rifugio Madonna delle Nevi ( 1330 m ) dove si concluderà l’escursione. Il percorso non presenta seri dislivelli, quindi pur essendo lungo, non è faticoso,  tuttavia si svolge lungo praterie poste a 2000 m di quota, per cui l’equipaggiamento deve essere di conseguenza. I tempi di percorrenza non comprendono le frequenti soste dovute alle osservazioni per cui si deve considerare di utilizzare tutto  l’arco della giornata. In caso di necessità, al Passo della Porta è comunque possibile scendere in valle lungo tracce evidenti di sentiero. Nonostante la presenza di acqua ma anche di numerose mandrie, è consigliabile portarsene appresso a sufficienza.

CARTOGRAFIA E RIFERIMENTI

Alpi Orobie Centro Occidentali: zone 1 – 2

Carta turistica KOMPASS  n° 105 Lecco – Valle Brembana

1) Sulla facciata di Cà San Marco è scolpito un leone alato, simbolo della Repubblica di Venezia  che portò pace e prosperità per circa quattro secoli.

2) Poco prima del al valico, incisi nel quarzo, troveremo alcuni volti: sono recente opera di uno scultore napoletano che ora risiede in Valtellina. Risalendo lungo la Priula troverete anche resti in pietradi  baraccamenti del 15/18.. Poco oltre il passo, sulla sinistra (guardando la Valtellina), vi sono altri resti di trincea con una galleria e la postazione per la mitragliera. Un’altra postazione è al Passo del Verrobbio, facilmente raggiungibile dal rifugio.

3) Le rocce presentanti contengono una certa quantità di ferro che  attirano i fulmini, di conseguenza si vedono i segni di queste scariche elettriche che bruciano e distruggendo tutto quanto incontrano.

4) Il Monte delle Segade si offre alla vista con pendii erbosi molto ripidi. Nel corso dei secoli se  ne è comunque sfruttato il foraggio, andandolo a falciare (pendio delle falciate: segade) utilizzando appositi ed arcaici ramponi. Il monte Azzarini o monte Fioraro  (2431 m) è  chiamato in tal modo a causa delle sue intense e particolari fioriture, che dato il  suo isolamento e la buona esposizione, possono mostrare indisturbate tutta la loro bellezza.

5) La linea Insubrica separa le Alpi Meridionali dalle altre formazioni; si tratta di una “faglia di scorrimento” larga cen­tinaia di metri, che partendo dall’interno della Iugoslavia interessa l’Austria lungo la valle del Gail, percorre la Pusteria, entra nelle valli di Non e di Sole dal passo delle Palade, raggiunge il Tonale, la Valtellina e prosegue oltre il Lago Maggiore fino in Piemonte.

6) In montagna per proteggere le mandrie durante la notte , vengono allestiti recinti in pietra a secco. La loro forma è solitamente rettangolare, ma ne troviamo anche di circolari (Monte Avaro)  per questi ultimi e forse in altri casi, sono avanzate ipotesi secondo le quali sarebbero stati costruiti addirittura durante epoche preistoriche. La loro denominazione dialettale ” Barek” è comunque sicuramente molto antica, probabilmente celtica.

7) La situazione geologica è molto complessa, volendo semplificarla all’inverosimile possiamo dire che sono presenti le seguenti formazioni: Porfiriti (rocce filoniane triassiche e terziarie); Graniti e Granodioriti ( rocce plutoniche con metamorfismo alpino permo carbonifero); Gneis granitici, granodioriti, Porfiriti, Filladi, Micascisti filladi e Filladi quarzifere (basamento cristallino)

8) Sono attualmente in fase di studio da parte della soprintendenza , con il supporto di appassionati locali, alcune aree di estrema importanza dal punto di vista archeologico ed antropologico. Basti pensare che tutto l’itinerario descritto attraversa queste zone e molti degli alpeggi giacciono quindi in luoghi  frequentati da miglia di anni. Guardando attentamente su alcune rocce noteremo piccole cavità, canaletti, fori passanti, piccole croci oltre ad altri segni caratteristici. Essi sono  rimasti celati per lungo tempo perché li si cercava a quote più basse. Il  fatto di trovarne a a 2000 metri, porta a riscrivere la storia non solo della bergamasca ma a riformulare teorie date ormai per scontate. Tutte le incisioni sono state eseguite su di un solo tipo di pietra, il micascisto, localmente chiamato “sass linguent”.

9) La baita appare ricostruita più volte, lo dimostrano la disposizione disposte delle scritte incise sulle varie rocce che ne costituiscono il muro perimetrale. Alcune date vi riporteranno indietro di qualche centinaio di anni. Se guardate bene troverete anche delle coppelle che ci segnalano ancora una volta l” antica frequentazione di questi luoghi.

10) Le pietre vengono raccolte in cumuli per aumentare l’area di pascolo.

11) Il formaggio a queste quote,  viene posto in “casere” attraversate da rivoli d’acqua per mantenere più bassa possibile la temperatura al loro interno e per conservare la giusta umidità per la stagionatura.

12) Anche in questa area noteremo piccole incisioni, alcune sono proprio poste nei pressi della  baita, altre sono dislocate sul perimetro del lago ora prosciugato ed altre ancora lungo il percorso che ci porta a valle.

13) Nel dialetto bergamasco “Formai de Mut” sta per formaggio di monte dove appunto “Mut” è sinonimo di Alpeggio o pascolo alto (1200-2300 m) che ospita le mandrie bovine provenienti dalla pianura. La “monticazione”dura da 60 a 100 giorni, solitamente compresi tra la metà di giugno e la metà di settembre. La gestione dell’ alpeggio è affidata al “caricatore” dell’Alpe, che solitamente è anche l’affittuario del monte: la contabilità, le paghe dei mandriani, concordare la ripartizione del formaggio fra i vari proprietari di bestiame ecc, sono tutte mansioni di sua competenza.

 14) Una pietra di una certa dimensione difficilmente viene sposta dal suo luogo originario. Quella in questione appare incisa da una coppella oblunga. La pietra appare spezzata, come pure, di conseguenza anche l’incisione. La sua collocazione è solo apparentemente casuale, infatti propio la sua presenza indica, come da poco si è scoperto, (ad opera di un appassionato locale) la presenta di un ulteriore sito interessato da incisioni.

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