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Storia dell'alpinismo bergamasco

06. Amore per le nostre Orobie: Mario Curnis e Simone Moro

Mario Curnis – Una ovvia traversata: racconto di Simone Moro – anno  2000

Curnis, la sua dote principale: una smisurata modestia ed un grande amore per le nostre montagne

Era una delle tante giornate che avevo deciso di passare con un amico, a chiacchierare di noi, di montagna, di lavoro di voglia inesauribile di fare, pensare, agire.

Quella volta l’amico non era un rampante coetaneo o un professionista del verticale ma era un signore che da 3 anni aveva superato quota sessanta e che nella totale normalità mi parlava di progetti alpinistici ancora da realizzare. I nomi e i luoghi che uscivano dalla sua bocca non erano però in lingua straniera e riferiti a luoghi lontani. No quell’amico sparava a raffica nomi di cime e località molto vicine, tutte italiane, molto bergamasche !!!

Mario, questo il suo nome, mi mostrò una carta topografica e la mise sul bordo destro del tavolo. Io feci per guardarla e mi disse: aspetta! Che fretta hai!? Ne devo mettere giù un’altra. E così fece. Ne affiancò una seconda, ed il tavolo si coprì di migliaia di linee, simboli, nomi, tracciati. Mario pose il suo dito sul lato destro e cominciò a farlo correre lungo una linea spartiacque che marcava tutta la lunghissima linea delle Alpi Orobie. Quel dito si fermo solo alla fine del tavolo, tutto a sinistra, in alto. Solo allora lo tolse e mi disse: alurà? Set pront? (allora, sei pronto?).

A modo suo mi stava proponendo di essere suo compagno nella realizzazione di un progetto che lo aveva respinto già due volte ma che non lo aveva affatto demoralizzato.

Era sempre esistita quella traversata ma nessuno l’aveva mai vista, corteggiata, tentata all’infuori di Mario Curnis, quel vecchiaccio di 64 anni che se ti distrai ti è già passato avanti sul sentiero e punta dritto all’obbiettivo. Eh si perché Mario altro che essere uno alle porte della terza età. Quello ti prende ancora a pedate nel culo se non ti svegli e ti coccoli nell’ozio e nell’apatia. Con me era già stato in Pamir e Thien Shan ed aveva salito in stile alpino e nessuno sconto nei carichi nello zaino, 3 cime di oltre 7000 metri!

Ok Mario “egne me”( vengo io) risposi a quel suo invito e mi misi a tavola dato che Rosanna, sua moglie e complice, stava per arrivare con una bella polenta fumante con relativa sorpresa in un’altra pentola …. Mmmm!

Era il 12 settembre di quell’anno identico agli altri che hanno chiamato del nuovo o vecchio millennio, quando noi due ci siamo fatti scaricare al Passo del Vivione da mio fratello Marcello che intontito dall’ora faceva ancora più fatica a capire cosa stessimo per fare.. Eravamo sul punto di confine tra Brescia e Bergamo nell’ultima settimana di chiusura dei rifugi e nelle prime di colori autunnali. Sopra di noi il monte Pertecata di 2270 metri, una cima semplice, anonima, senza glorie e tragedie da raccontare, ma pur sempre una montagna anzi la prima delle oltre cento vette che dovevamo salire.

“ Non cominciare a correre perché ti do una bastonata in testa” fu il primo “consiglio” che Mario mi disse e con i nostri zaini di oltre 20Kg ci incamminammo entusiasti verso quella cima.

Da quel momento avevamo incominciato il tentativo vincente della prima traversata delle Orobie restando sempre sulla linea di creste e di confine rappresentata dalla nostra catena montuosa. Il piede destro nel bresciano, poi nella provincia di Sondrio ed in fine di Lecco mentre il piede sinistro sempre ancorato nella provincia bergamasco. Una cavalcata rigorosa ed infinita di su e giù di vette grandi, piccole, piccolissime e vette fantasma neppure senza la dignità di un nome ma identificate cartograficamente da una semplice quota.

Nessun rifornimento in cresta, nessuna staffetta organizzata, nessuna droga, nessuna sfida lanciata o record da battere. Solo due ragazzotti che potrebbero essere padre e figlio e una loro idea. Anzi in verità l’idea era stata suggerita a Mario dall’Avvocato Piero Nava alpinista appassionato che era stato con Mario, seppur con mansioni diverse, nella spedizione all’Everest.

SCHEDA TECNICA AGGIUNTIVA : Simone e Mario hanno effettuato la traversata portandosi nello zaino tenda, materassini e sacchi a pelo. Per una ripetizione della loro lunga “idea” non è però necessaria la tenda. Bastano infatti materassini e sacchi a pelo dato che è sempre possibile alloggiare in rifugio o bivacchi disposti lungo il percorso. Bisogna però mettere in preventivo che per raggiungere questi luoghi riparati bisogna abbandonare la cresta ed abbassarsi anche di 900 metri di dislivello per poi ritornare al punto lasciato il giorno precedente ( 1400 m. extra dopo magari 2-3000 effettuati). L’unico rifugio sullo spartiacque e dunque in cresta è il Rifugio Benigni a 2222 metri ma è l’ultimo punto di ristoro prima dell’ultima liberatoria tappa.

Ecco in sequenza i punti di appoggio utilizzabili.

-1°giorno: sosta al Rifugio Tagliaferri – 2° giorno: sosta al Bivacco AEM – 3° giorno: sosta al Rifugio Curò (lunga discesa dal passo di Coca di quasi 900 m) – 4°giorno: sosta al rifugio Coca ( altra lunga discesa di 700m) – 5° giorno: sosta rifugio Brunone – 6 giorno: sosta al Rifugio Longo o Rifugio Calvi – 7° giorno: sosta al bivacco Pedrinelli (in val Sambuzza al passo di Publino) – 8° giorno: in una baita abbandonata al Laghetto delle Trote o al passo di Dordona – 9° giorno in una delle baite al Passo di Tartano – 10° giorno: al rifugio, bar ristorante del Passo San Marco ( wow….) – 11° giorno: al rifugio Benigni – 12° giorno: Rifugio Lecco oppure rientrare al paese di Valtorta e a casa ( dipende dalle bevute…)

Simone e Mario hanno effettuato un bivacco in più sulla cima del Pizzo Scais a causa del  maltempo.

I passaggi in roccia più difficili sono stati i  5 tiri di corda che sono stati necessari per giungere in vetta al Pizzo del Diavolo di Tenda dopo la salita al Pizzo dell’Omo.

Materiale Consigliato:  – mezza corda da 50 o 60 mt – 2 imbragature leggere ( Simone e Mario non le hanno portate e si sono sempre legati in vita) – 4 chiodi – 4 nuts vari – cordini – 6/8 moschettoni ( loro ne avevano 3!!)

– caschetto – non sono necessarie le scarpette da arrampicata. Ottimo sarebbe avere i modelli con suola Vibram. – Sacco a pelo  – Materassino – Fornelletto – Cibo e pentolino ( non è una cattiva idea portarsi una piccola moka del caffè. Loro l’avevano) – Mantella o completo antivento e acqua leggerissimi ma efficaci. – Macchina fotografica – Abbigliamento termico ma non troppo ingombrante ( lo zaino non deve essere un demonio dato che si arrampicherà sempre con quella zavorra)

Ultimo consiglio e regola da rispettare per una ripetizione vera ed originale è racchiusa nella parola “RIGORE”. Solo se si resta sempre in cresta e non si aggirano gli ostacoli degli infiniti su e giù ha senso fare questa lunga, bellissima prova. Molto spesso la tentazione sarà forte e si vedranno le tracce di camoscio che aggirano vette e pinnacoli ma utilizzare quelle piste sarebbe come barare e non poco…). Ogni volta che poi deciderete di andare ai vari rifugi vi consigliamo di lasciare gli zaini in cresta e scendere scarichi perché vi aiuterà a ritrovare la voglia di continuare il giorno dopo e ritornare lassù….!!

Questa impresa ne richiama di analoghe ma compiute 100 anni prima ad opera di stranieri desiderosi di conoscere i nostri territori. Il loro peregrinare non si discosta molto da quello compiuto anche al giorno d’oggi dalle persone che effettivamente vogliono conoscere il nostro territorio con puntuale e sincera curiosità e la gente che in esso vive. Certamente il nostro dialetto è ostico ma costituisce una meravigliosa ed incredibile mescolanza di lingue a volte antichissime. La gente poi non è così rude, scontrosa o disinformata sulle cose,  come certa semplicistica letteratura ci tramanda. Un esempio su tutti: quasi la metà dei garibaldini e dei loro comandanti erano bergamaschi, Tasso era bergamasco, il Quarenghi nel 1779 venne scelto dal barone Grimm, ministro di Caterina II di Russia, come architetto della corte russa. Si recò a Pietroburgo, che Caterina aveva intenzione di trasformare in una moderna capitale neoclassica. Nel 1781-89 edificò il Palazzo Inglese a Peterhof dalle linee severe e semplici e privo di decorazione. A Pietroburgo invece realizzò: il Palazzo Berborodko (1780-90), il Collegio degli Affari Esteri (1782-83) la Banca di Stato (1783-90), l’Accademia delle Scienze (1783-89), il Teatro dell’Ermitage (1783-87), quest’ultimo ispirato al Teatro Olimpico diVicenza e il Palazzo Vitingov (1786).

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