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Storia dell'alpinismo bergamasco

10. Agostino da Polenza

   – A  quei tempi al CAI Bergamo esistevano due gruppi di giovani alpinisti, quello degli studenti e quello nel quale molti già lavoravano, (fra i due gruppi esisteva ovviamente  un poco  di bonaria rivalità), Agostino apparteneva a quest’ ultimo , poi ognuno ha scelto la sua strada: Agostino, passo dopo passo,  ha saputo trasformare la sua passione in lavoro dando il via ad iniziative di ogni genere, ecco la sua storia:

 – La mia storia alpinistica è iniziata da ragazzotto sul calcare delle palestre bergamasche, la Cornagera, con le sue vie di un tiro di corda ma su roccia solida e chiodate negli anni tra le due Guerre Mondiali dai migliori alpinisti bergamaschi, i fratelli Longo, Leone Pelliccioli, e poi Carlo Nembrini, i Bergamelli. A seguire fu la Presolana, e le Grigne. Il monte Bianco venne dopo e le prime vie come la Bonatti al Capucin e la via “degli americani” al Dru. In onore al rispetto che nutrivo per il mestiere di guida alpina diventai “portatore”, come si diceva allora nel 1974.

Voglia di arrampicata ma anche di avventura, natura, sfide. E così, a metà degli anni Settanta, inizia la mia avventura con quelle che tutti definivano “spedizioni extraeuropee”. Prima le Ande con il Puscanturpa Nord, una bella parete di roccia e l’anno successivo la durissima parete Sud dell’Huandoy: una delle pareti più difficili e fredde delle Ande.

La follia del Lhotse, 8516 m, in inverno e il mio arrivo al Colle Sud a quasi ottomila metri nel  gennaio del 1981,  ancora mi fanno venire i brividi. L’83 fu l’anno della consacrazione per la mia passione per l’Himalaya e in particolare per la montagna che avrebbe segnato il resto della mia vita: il K2.  Ne raggiunsi la vetta il 31 luglio: 29 anni esatti dopo Lacedelli e Compagnoni. Un’impresa alla quale dedicai due anni della mia vita, per la quale imparai a gestire, coordinare, organizzare, non solo cose di montagna ma anche questioni logistiche, di budget, di comunicazione.

Misi a frutto quella mia esperienza, caricata della potenza del successo sulla più bella montagna del mondo, costruendo il progetto “Quota 8000”. Una sfida di “alpinismo, scienza e comunicazione” che mi portò a metà degli anni Ottanta a organizzare e dirigere spedizioni di successo sui Gasherbrum 1 e 2, sul K2 e il Broad Peak nel 1986 e l’anno successivo sul Nanga Parbat. Grandi montagne ed eccezionali compagni di alpinismo e di vita come Gianni Calcagno, Benoît Chamoux, Tullio Vidoni, Soro Dorotei, per citarne solo alcuni.

Proprio con Benoît, con il quale era nata un’amicizia fraterna, proseguii la mia “carriera” alpinistica organizzando con lui il progetto “Esprit d’Equipe”. E fu così che nell’88, ‘89 e ‘90 furono saliti l’Annapurna, tentato l’Everest, saliti il Manaslu, il Cho Oyu e lo Shisha Pagma.

Era nato nel frattempo il progetto Ev-K2-CNR, per misurare l’Everest e il K2 prima, e poi per ricerche mediche e fisiologiche che avrebbero trovato casa al Laboratorio Osservatorio Piramide che, con il Prof. Ardito Desio, realizzammo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta.

Da allora ho organizzato altre due spedizioni al K2. Quella del 60° dei Ragni di Lecco e quella del 50° della conquista. Inoltre la salita dell’Everest per la sua misurazione nel 1992 e nel 2004, la salita del Lhotse e la realizzazione del progetto EAST (Extreme Altitude Survival Test). Nel mezzo progetti scientifici, di cooperazione e alpinistici ai quali ho prestato l’esperienza organizzativa come il progetto UP. Con il cuore sempre puntato verso le cime alte ma anche inesplorate. Con la testa indirizzata alla passione organizzativa e alla costruzione di una organizzazione che sia leader nel campo della ricerca scientifica tecnologica quale è Ev-K2-CNR. Passione e professione.

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