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Etnografia

La calchera

COME SI PRODUCEVA LA CALCE

CENNI STORICI

L’impiego della calce “aerea” (legante cementizio) era gia noto prima dell’età del bronzo (e la sua scoperta fu probabilmente analoga a quella della “terra cotta”), infatti si è riscontrato l’utilizzo di calce addirittura nel “nuraghe” di Melas, presso Cagliari. Nel costruire il focolare in terreno non argilloso ma calcareo, l’uomo preistorico, si accorse che la pietra una volta riscaldata e poi raffreddata si trasformava in polvere, questa polvere a contatto con l’acqua formava un impasto plastico divenendo successivamente un materiale compatto simile alla roccia stessa. In tempi relativamente più recenti, Plinio il Vecchio, (23-79 d.c.) nella sua “Storia Naturale” vera e propria enciclopedia  in 36 volumi, parla dell’applicazione della calce, utilizzata ad esempio nella costruzione dell’acquedotto Appio, progettato come la stessa via Appia da Appio Claudio Cieco (300 a.c.) ed attinge abbondantemente dai dieci volumi di Vitruvio, scomparso circa un secolo prima. A distanza di secoli, cioè nel rinascimento, le note tecniche di Vitruvio (la prima traduzione delle suo opere fu eseguita a Venezia nel 1484)  vennero riprese  dagli architetti del tempo,  come: Leon Battista Alberti, Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi e dal francese Delorme.

I FORNI

Solo dall’epoca romana si hanno descrizioni e resti di forni per la calce, in Grecia ed in tutto il mediterraneo si cuoceva invece in fornaci “di campagna” molto rudimentali. Di fatto i sofisticati forni romani, costruiti a doppio cono, con  mattoni ed impasto di argilla (quindi allestiti con materiali isolanti e refrattari, come i moderni altiforni) che dopo la prima cottura diventava stabile e resistente, dotati di  colonna centrale di sostegno e piani inclinati di carico della legna e scarico delle ceneri, vennero utilizzati solo in tale epoca, successivamente si diffuse (salvo casi particolari – in Liguria ad esempio) l’uso di  forni cilindrici semi interrati. Addirittura nel medioevo, per la mancata applicazione delle tecniche tramandate da secoli, si riscontrò un decadimento generale delle tecniche e della qualità delle calci. Solo dal XII al XIV  si ebbe un risveglio, ritornando all’utilizzo delle fornaci intermittenti come quelle romane, in muratura e a legna, per passare nel XVI a quelle a griglia con carbone. Nel 1729 Belidor, raccomandava di aggiungere alla calce, pezzi di tegole e le scorie da forgia, il tutto accuratamente macinato, come del resto, almeno per i mattoni, facevano gia i romani (tale tecnica ad esempio è stata utilizzata nella costruzione del piccolo acquedotto romano, in alcuni tratti ancora visibile, che dalla Roncola portava acqua all’accampamento di Castra poco al di sopra di Almeno). Solo nel XVIII con Lavoisier e con l’affermarsi della chimica non empirica, portò al sostanziale miglioramento dei prodotto come la calce ed i cementi moderni.

LA PREPARAZIONE

Il luogo veniva scelto in funzione sia delle materie prime utilizzate: il calcare, la legna da ardere, l’acqua; che in funzione del luogo stesso di utilizzo del prodotto ottenuto, cioè l’ubicazione degli edifici in costruzione. Per la costruzione non si disponeva quasi mai di uno schizzo o di un disegno, perché quest’arte era acquisita e tramandata dall’operatore stesso, detto “ calcherot”. La costruzione inizia picchettando un cerchio del diametro di circa 2.5 – 3 metri e preparando con pietre porfiriche il  “fornello” di calcinazione; quasi sempre tuttavia, almeno per molte delle nostre zone si utilizzavano ugualmente blocchi calcarei, che di conseguenze portavano ad un rapido degrado la calchéra stessa. Al di sopra veniva allestito il così detto “bregn”, a forma di botte ed ancora ovviamente costruito con pietre, possibilmente stipate con terra argillosa (ne esiste ancora una in posta in località “Suoli” presso Brembilla costruita in tal modo, subito dopo la guerra). Il “bregn” era dotato di un’unica apertura per il carico e lo scarico del materiale calcareo e per l’infornamento della legna.

LA PRODUZIONE 

Poco al di sopra del ”fornello” si predisponeva una “volta” in tronchi, sormontata da una seconda “volta” composta da ciotoli calcarei; si procedeva quindi al riempimento completo della calchèra con i massi calcarei e con il caricamento della legna nell’apposito forno. Il materiale veniva cotto alla temperatura di 800-900 gradi per novanta ore, cioè sino alla completa cottura del materiale. Ogni calchéra produceva sino 150 q di calce utilizzando 200 q di legname in fascina. Occorrevano ancora tre giorni per il completo raffreddamento de materiale. I sassi di calcare, una volta cotti (perdevano il 50% del peso, diventavano porosi e friabili sino quasi a trasformarsi in polvere) venivano messi in un apposito contenitore in legno detto “andatura” e con un particolare mestolo detto “regabol” venivano “sciolti” con acqua; il tutto finiva poi in una buca detta “calcinaia” dove la calce era finalmente pronta per l’utilizzo.

IL PROCESSO CHIMICO

Il materiale di partenza deve contenere triossocarbonato (CaCo3 – calcite) di calcio non inferiore all’ 88 %. I calcari vengono classificati come rocce sedimentarie e metamorfiche (marmi, in questo caso) . Abbiamo calcari “grossi”:93/95% di calcite; “magri”: 88% di calcite; “Argillosi”,  “dolomitici”: contenenti CaMg(COE)2; “silicei” perché contenenti silice. La massa molecolare del calcare diminuisce perché si ha una perdita di anidride carbonica durante la cottura; infatti da 100 gr. di CACO3 si ottengono 56 gr. Di CaO (calce viva)  e 44 gr.di CO2 che si disperdono nell’atmosfera l’atmosfera. La calce viva viene “spenta” con acqua, il processo è pericoloso e deve quindi essere eseguito con ogni precauzione, infatti unendo la calce CaO con l’acqua H2O si ottiene Ca( (OH)2  + 210 Kcalorie per chilogrammo ed il calore prodotto può provocare pericolosi schizzi. Durante l’utilizzo nelle costruzioni, cioè nella fase detta di “ presa” si ha il ripristino del calcare che avviene mediante assorbimento dell’anidride carbonica contenuta nell’aria, cioè si ritorna al CaCO3 di partenza.

LE CALCHETRE DI ARDESIO E LE “REGOLE”

In un manoscritto del 1781 sono censite le calchere esistenti in Val Seriana. Ad Ardesio se ne contavano 19, a Gandellino 2, a Gromo 8, ad Oltresenda 3,  A Ponte Nossa 3 ed a Premolo 3. Lo statuto del comune di Ardesio dedica 4 capitoli, dal 244 al 247, alle calchere; essi prescrivevano che il permesso di mettere in opera una calchera fosse concesso solo dopo aver accertato le necessità dei vicini, meglio se raggruppati in una sola al fine di risparmiare legname. Per lo stesso motivo la calce prodotta sul territorio del comune non poteva essere venduta, donata o esportata. La legna da utilizzare per far calce doveva essere solo quella strettamente necessaria allo scopo e non altra, inoltre la legna preparata allo scopo nei boschi, non poteva essere presa da altri. Il capitolo 258 dello statuto ha invece una portata più generale, poiché vieta la vendita ai forestieri e l’esportazione dal comune della legna da fuoco. E’ da sottolineare che questo metodo di preparazione della calce è resistito a lungo anche dopo la scoperta del cemento, per cui veniva ancora utilizzato nel periodo a cavallo dell’ultima guerra.

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