Categorie
Etnografia

Zogno e dintorni

Presentare uno stralcio anche breve di questa parte di territorio non è molto semplice. Questo accade perché ogni frazione di questo comune è carica di storia dalla più lontana sino a tempi recenti quando:  CAI, Alpini e Scout in perfetta armonia pensarono di ristrutturare le due piccole contrade che compongono il borgo di Catremerio.

Quello che mi ha più colpito è che ogni singola frazione posta al di sopra della cittadina sino ad S. Antonio Abbandonato ha origini preistoriche. Magari si tratta di minime  tracce che però testimoniano come attraverso un lungo processo di evoluzione, da piccole grotte adibite a riparo di minuscoli gruppi famigliari si sia sviluppato un grosso borgo con addirittura tre musei: quello della Valle, quello ecclesiastico di San Lorenzo ( che comunque contiene al suo interno il così detto “idolo solare” un masso scolpito in epoche preistoriche che sembra aver attinenza con il ciclo solare)  e quello  paleontologico. Molte di quelle contrade pocanzi citate furono comuni autonomi fino all’inizio di questo secolo e conservano tuttora testimonianze artistiche e architettoniche di notevole importanza. Di rilievo il convento di Romacolo (XV secolo) che mantiene evidenti, nel chiostro e nel campanile a cuspide conica le linee originarie. Da vedere anche la chiesa dell’Assunta a Grumello de’ Zanchi, con tele di Antonio Zanchi e un polittico di Francesco Rizzo da Santa Croce. Il nucleo primitivo sorse quasi certamente dove si e’ poi sviluppato il centro del borgo. Del “Fundo aunio” si hanno notizie in documenti del secolo XII, cosi’ pure della divisione tra ZOGNO alto (Sonzogno, summum, Zonium) e ZOGNO basso (Inzogno, Inzum, Zonium), nonche’della chiesa di San Lorenzo . Del Comune di Zogno si ha notizia dal secolo XIII . E’ accertata l’esistenza di un Castello nella parte alta, dove e’ ora la chiesa parrocchiale, luogo dominante , di evidentissima importanza militare. Una caratteristica peculiare di questo territorio è la famosa “piega geologica” a forma di doppia W. Le fratture rocciose che si sono create ai piedi di essa vennero tutte abitate in tempi preistorici ed ogni singolo anfratto ha assunto nomi anche curiosi. A picco sul torrente Brembilla in località San Gaetano troviamo ben cinque gradoni megalitici: hanno la particolarità di avere alcuni grandi finestroni “ciechi” rivolti verso la “Corna del Mesdì”. Questa orientazione sembra legata ad antichi culti propiziati nel periodo del “solstizio d’ inverno. Non sono stati eseguiti “studi ufficiali” di queste costruzioni ma tutto ci fa pensare ad un Castelliere Gallico simile a quello presente poco sopra Lovere.

UNA PARTICOLARITA’: 17 GENNAIO FESTA DI S. ANTONIO

Il 17 gennaio è la  ricorrenza della festività di Sant’Antonio Abate, nella frazione di Piazza Martina di Zogno si rivive l’antica tradizione della benedizione e distribuzione dei panini di Sant’Antonio. È una tradizione quanto mai sentita nella comunità zognese che partecipa in folta rappresentanza all’appuntamento di gennaio affollando il sagrato della chiesa dedicato al santo protettore degli animali. Santo che si presenta ai fedeli in abiti pastorali, nella bella statua lignea trecentesca conservata nell’abside della piccola chiesa. Piazza Martina, collocata sulle pendici basse di nord del Canto Alto, tuttora un bell’esempio di realtà rurale, è una delle più piccole contrade di Zogno. La si raggiunge prendendo al Ponte Vecchio la strada per Stabello e giunti alla Corna -bellissima casa fortificata medievale – si svolta a sinistra. Un centinaio di metri ed ecco la contrada dalla quale parte una mulattiera che un tempo era la strada che collegava Stabello con Poscante sulla sponda sinistra della conca zognese. La mulattiera porta in pochi minuti alla chiesetta di Sant’Antonio, un piccolo edificio sacro un tempo in stile romanico, «immotivatamente e sciaguratamente rimpicciolito nelle dimensioni e trasformato a metà ‘800 in stile neoclassico» osserva lo storico monsignor Giulio Gabanelli, ex parroco emerito di Zogno, in un suo studio sulle chiese minori del paese. La tradizione riprende una volta l’anno in occasione della festa di Sant’Antonio. In tale occasione vengono solitamente distribuiti i panini benedetti ma anche caldarroste, ‘biligocc’ e frittelle preparate dalle donne della contrada.

IL BORGO DI CATREMERIO

E’uno splendido borgo antico di montagna, a 988 mt di altitudine, adagiato tra verdi pascoli e folti boschi, sulle pendici del Pizzo Cerro, ricco di storia, gode di una posizione invidiabile e soprattutto di una singolare architettura rustica delle sue due contrade. Un tempo si raggiungeva salendo per la mulattiera da Brembilla, passando per il Cerro e la Tröca. Oggi vi si arriva comodamente in auto, in circa 20 minuti, partendo da Brembilla, di cui è frazione, o da Zogno, percorrendo una comoda strada asfaltata, che si snoda tra prati e boschi, contrade e casolari, con ampi panorami sulla Valle Brembilla o sulla Valle Brembana e sulla pianura. Il piccolo borgo si suddivide in due nuclei principali: “Catremer di là, dei Balos (furbi), e, oltre la Chiesa, Catremer di qua, di Sgarbui (avvocati). Il nome Catremerio, secondo la più probabile ipotesi, è da far risalire al nome della potente famiglia Tremeris, una delle più antiche famiglie della Valle Brembilla, insediatasi a Catremerio intorno alla prima metà del ‘500. La chiesa di Catremerio risale a fine ‘700-inizio ‘800 e fu dedicata a S. Gaetano nel 1887. Divenne Parrocchia, staccandosi da Brembilla, dalla quale dipendeva, nel 1920. Fu restaurata nel 1951-52. Dal 1986 la parrocchia di S. Gaetano di Catremerio è aggregata a S. Antonio. La festa più importante del borgo è quella di S. Gaetano, con funzioni, processione e festeggiamenti che continuano per tre giorni con grande afflusso di gente. Il panorama sul territorio di Catremerio un tempo spaziava su campi molto estesi, coltivati a frumento, granoturco, patate e fagioli, ( “qui tutto era vangato”, come dicevano i nonni) e su prati, nella tipica disposizione a terrazzi, sostenuti da muri in pietra a secco e, ai margini, boschi; oggi i campi non ci sono più, rimangono solo prati e boschi. Le costruzioni risalgono al ‘500, ‘600, ‘700 (si leggono date, scolpite nella pietra, sulle arcate di porte: 1546-1581, 1754). Il materiale utilizzato per le costruzioni era la pietra, impiegata non solo per le case, ma anche per il selciato (“ol risol”)  delle viuzze  e per i muretti di cinta; i tetti sono tutti ricoperti di coppi; porte, scale, logge e ballatoi sono in legno. Evidente la  tipica struttura delle case con stanze una sopra l’altra e con l’accesso ai piani superiori per mezzo di scale esterne in legno e logge. Ai piani terreni le stanze sono a “silter”, adibite un tempo, alcune ancor oggi, a stalle, con a fianco le cucine con il pavimento in pietra, alcune delle quali conservano l’antico camino, la ‘pegna’ (stufa) e la credenza, annerita dalla caligine; porte e finestre sono di diversa grandezza e forma, anche se prevale quella ad arco. Al centro dello stretto viottolo, che attraversa il borgo, scorre un piccolo canale scolatoio dei tetti, che raccoglie e convoglia l’acqua a valle.

Per ulteriori notizie su Catremerio si veda:- “Catremerio da salvare-pezzi della sua storia”, di Odilla Pesenti, Gian Luigi Pesenti e Alessandro Pellegrini, 1992, Editrice Ferrari. – “Brembilla-Viaggio nelle 141 contrade”, di Alessandro e Cristian Pellegrini, 1997, Ferrari Editrice, Clusone).

IL BORGO DI CAVAGLIA

Un tempo Cavaglia si raggiungeva salendo per una mulattiera che raggiungeva il  monte Corno.  Cavaglia è un piccolo borgo di case strette le une alle altre, posto su un esteso falsopiano, incorniciato e protetto dall’alto dai suoi monti. Si affaccia sulla sottostante Valle Brembilla e sui paesi del versante di fronte di Roncola e l’Albenza. Il borgo è stato ristrutturato da pochi anni, salvaguardando le caratteristiche architettoniche originarie , specie nel centro  dove troviamo in bella mostra una grande casa cinquecentesca. Nel 1998 si è avuto il recupero delle parti pubbliche. case sono in pietra, i tetti in coppi, le scale esterne per salire ai piani superiori in pietra e legno. Molto belle le ‘lobbie’ (terrazze) in legno, abbellite in estate dai gerani. Quasi tutte le porte sono ad arco: su una di queste troviamo incisa sulla pietra la data del 1531. Al pianterreno le stalle e le cucine hanno il soffitto a ’silter’ in pietra di sasso di tufo. A Cavaglia troviamo interessanti “sisterne” (cisterne, pozzi), tipiche in tutti i borghi della Valle Brembilla. Le cisterne servivano per l’approvvigionamento idrico: l’acqua piovana veniva convogliata in questi pozzi scavati nel terreno, rivestiti in muratura di diverse forme: circolare, quadrata, esagonale o ottagonale, coperti da un tetti spioventi o piatti, rivestiti di coppi o ‘piöde’. La prima che incontriamo e’ appena entrati in Cavaglia dalla mulattiera, visibile sulla sinistra. Ogni famiglia aveva la propria ‘sisterna’ nella maggior parte funzionante ancor oggi. Ben conservata una ‘sisterna’ vicino alla casa cinquecentesca in centro borgo.

Il nome “Cavaglia” si collega ai cavalli, postazione di cavalli. Secondo una suggestiva leggenda Cavaglia era la postazione della cavalleria della regina che avrebbe dato il nome al monte sovrastante monte il Castel Regina – sono stati comunque trovati reperti archeologici che sembrerebbero confermare questa tesi). Tradizione vuole che le stalle della “Forsèla di Buse” (Forcella dei Busi) e di Passabuna servissero da luoghi di sosta. Nel ‘300 il borgo di Cavaglia in Val Brembilla insieme con Gerosa faceva parte del Comune e Parrocchia di Brembilla. Dal 1442 e fino al 1779, sempre aggregata a Gerosa e insieme con Gaiazzo, Pasabona, Cadelfoglia, rimane staccata da Brembilla. Rientra a far parte del Comune di Brembilla dal 1779 durante il periodo napoleonico. Nell’ultimo dopoguerra molti famiglie si sono stabilite definitivamente all’estero. Ogni famiglia di Cavaglia si distingueva con vari  soprannomi: Signur, Bac, Tripulì, Ross, Pacc, Misaröi, Poiàne e Musitei. Vivevano di agricoltura ed emigrazione, la scarsità di lavoro costringeva gli uomini a partire in primavera a piedi per la Svizzera e Francia impiegando anche 3/4 giorni. Nel Borgo di Cavaglia di Brembilla, dove termina la strada carrozzabile, l’escursionista può sostare l’auto e avviarsi per mulattiere e sentieri verso le sovrastanti montagne ed affrontare eventualmente anche una bel sentiero attrezzato che porta alla vetta del Corno da un versante all’apparenza impercorribile anche dai più esperti. Le mete da raggiungere sono il Corno, m. 1200 (Còren), che giganteggia sopra Cavaglia, la Corna Scamoscera, m.1343, il Pizzo Cerro, m. 1285, Il Castel Regina, m.1454, il Foldone, m. 1502 e più in là il Sornadello, m. 1580. L’attuale chiesetta del borgo di Cavaglia fu costruita nel 1904 sul luogo dove prima sorgeva dal 1859 una piccola cappelletta dedicata a San Martino. Dedicata alla Madonna de “La Salette” già dal 1858 dagli emigranti di Cavaglia di ritorno da Grenoble in Francia, dove la Madonna apparve appunto in quel periodo a “La Salette”. (nella piccola sagrestia sono stati raccolti alcuni oggetti di uso quotidiano formando in tal modo forse il più piccolo ma originale museo etnografico) Viene festeggiata due volte l’anno, l’ultima domenica di Gennaio e il 15 Agosto. La festa è preceduta dall’antica tradizione dell’incanto del trono.

LE PEONIE DEL MONTE ZUCCO

 Ovviamente adesso non è stagione ma in primavera, in zone soleggiate ma riparate da alberi disposti circolarmente intorno alle radure più nascoste, fiorisce la peonia o meglio: la Peonia Officinalis, di un bel rosso vivo. Purtroppo ha  odore poco gradevole, ma è molto decorativa, E’una  specie perenne a radici tuberose, presenta un fusto flessuoso, semplice, alto fino a 70 cm, con foglie grandi, consistenti, tripartite più volte, picciolate, di color verde di sopra, più pallide e glauche di sotto. Il fiore della Peonia e’ terminale, molto grande (2-10 cm di diametro). 

IL MUSEO SAN LORENZO

Il Museo San Lorenzo di Zogno raccoglie testimonianze di carattere religioso, in particolare una collezione di affreschi recuperati in Valle Brembana, una raccolta di dipinti tavole e tele sopratutto di autori locali, sculture e indumenti sacri. Nelle ampie sale del Museo San Lorenzo di Zogno si trovano anche numerosi ferri antichi, un’infinita’di oggetti appartenenti alle molteplici devozioni popolari, una raccolta di campane e pietre di manufatti della Valle Brembana. Il tutto e’ esposto su tre piani: il primo e’ dedicato agli affreschi, al Natale e alle Messa Grande il secondo ai Sacramenti, al Rosario e al funerale e il terzo alle devozioni popolari. Affianca il Museo di Zogno una raccolta di pergamene di cinquecentine, di seicentine e di opere varie; e’ presente inoltre un esposizione paleontologica di pesci fossili anche di rilevanti dimensioni.

IL MUSEO DEI FOSSILI

Per spiegare le origini di questo museo, occorre ricordare che duecento milioni di anni fa la Valle Brembana era quasi interamente ricoperta dal mare.  Il paesaggio era caratterizzato da vaste spiagge, fondali bassi e fangosi e numerosi isolotti ricchi di una lussureggiante vegetazione, favorita da un clima caldo e secco, di tipo tropicale. Ricchissima era la fauna ittica, costituita soprattutto da pesci piccoli come le nostre sardine o acciughe, ma numerosi erano anche quelli di grossa dimensione, lunghi fino a due metri.  Vi erano poi rettili simili a tartarughe, che frugavano sul fondo melmoso alla ricerca di molluschi, ed altri paragonabili ai nostri coccodrilli.  Nelle lagune la scarsa circolazione d’acqua, dovuta alla bassa profondità, rendeva assai difficile l’ossigenazione del fondo ed è così che si crearono le condizioni ideali per la fossilizzazione di pesci, rettili, crostacei ed altri organismi che si depositavano sul fondo. Nel corso di milioni e milioni di anni i fondali si trasformarono in rocce che poi, a causa delle pressione della placca continentale africana contro quella europea, si sollevarono dando origine alle Alpi.  Ed è così che migliaia di fossili sono arrivati fino a noi.  Particolarmente importante è stata la scoperta del giacimento paleontologico esistente sulle alture di Zogno, nei pressi di Endenna e Poscante, effettuata da Piero Gervasoni nel 1978.  Ed è grazie alla passione di don Giulio Gabanelli e al paziente lavoro di Onorato Pesenti che centinaia di fossili sono stati raccolti, ripuliti e catalogati. Il giacimento è stato poi setacciato dagli studiosi dell’Università degli Studi di Milano che hanno classificato oltre duecento specie di pesci e quindici di rettili. Molti dei fossili hanno preso la via dell’Università e di prestigiosi musei italiani e stranieri, ma ciò non ha impedito di conservare a Zogno in questa esposizione un buon numero di esemplari: pesci con squame luccicanti, rettili, molluschi, coralli e vegetali risalenti al Triassico Superiore, 220 – 230 milioni di anni fa, giunti fino a noi perfettamente e miracolosamente conservati. Ecco così l’unico esemplare completo al mondo di Placodonte, un rettile acquatico simile ad una tartaruga, anello di congiunzione tra anfibi e rettili, lungo 186 cm. Dotato di smisurati denti piatti, adatti a rompere i gusci e le conchiglie dei molluschi di cui si nutriva.  Ecco i Pycnodonti (Brembodus ridens), appiattiti e con i denti a scalpello, e i piccoli Pholidophori, che erano numerosissimi e particolarmente ricercati dai grandi predatori come il velocissimo Saurihcthys, paragonabile all’attuale barracuda. Nelle vetrine del Museo troviamo ancora i Paralepidotus, lunghi fino a 60 cm., il Sargodon, simile al pesce palla, e numerosi Sauri, tra cui l’Endennasaurus, lunghi fino a 70 cm. e sottili come anguille.  E poi piccoli crostacei, gamberi, molluschi, coralli e ricci di mare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *