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Articoli di alpinismo giovanile dagli annuari CAI

Gli occhiali da sole (pag. 187)

Sono passati sei anni da quando ho accompagnato la mia prima escursione, ormai è nata da qualche tempo la Commissione Alpinismo Giovanile del CAI Bergamo ed il testo seguente, scritto a due mani,   rappresenta una simpatica e scherzosa sintesi dell’attività svolta in quell’anno. Io e Massimo, condividiamo ancora gli stessi ideali, seppur con diverso impegno,    ormai da più di trent’anni.(sto scrivendo queste note nel 2011).

Commedia semiseria sulle gite giovanili del CAI Bergamo

Prologo

Novembre: tempo di consuntivi. Una stagione strana. Non vi parleremo di alpinismo ad alto livello, né di vie e neppure di sassi. Semplicemente di ….gite. Ma con un qualcosa in più.

Atto I

Ultima domenica di aprile: ansiosi di uscire dalle nebbie dell’inverno padano i nostri eroi, futuri alpinisti della classe 1966 e seguenti, si ritrovarono con la testa, e non solo quella, tra le nuvole raccolte a banchetto sulla vetta del Canto Alto. Nuvole di presagio, avremmo dovuto capirlo … E invece no.

Fu così, dunque, che la croce della vetta ci accolse, più o meno infreddoliti, a rimirare cumuli di nebbie ribollenti, ascendenti e … fitte, molto fitte, tanto che … ve lo immaginale sui giornali: “Comitiva di giovani dispersa sul Canto Alto … le ricerche continuano … “

Fu quindi con somma gioia di Zanotti, responsabile del soccorso alpino, che i nostri eroi fortunatamente per quel giorno rientrarono a baita. Si salutarono: “Sarà più bello la prossima volta, non dubitate!!”.

Atto II

Maggio 1981: dintorni di Vigolo, amena e tranquilla località dalle ampie vedute sul Sebino. Una torma di boscimani urlanti si fa strada tra la fitta boscaglia, laddove (secondo la carta topografica) avrebbe dovuto esserci un largo sentiero. “Tutto allenamento, tutta esperienza … ” affermò uno degli accompagnatori, immediatamente lapidato con tiri di pigne. Abitazioni caratteristiche, eguali tra loro e già di architettura diversa da quella delle zone circonvicine, boschi cedui e prati verdi che fasciano le ampie insellature, un’ultima ripida costa accompagnati da una moltitudine di rondini alpine e la croce della vetta.

Monte Bronzone, 1350 metri, millecento sopra il lago: poesia infinita della natura! Dirimpetto la Presolana, la Val Camonica con l’Adamello ed il Guglielmo, la classica linea evanescente degli Appennini e, accidenti a lui, la solita “guida” in giro col sacco delle immondizie per scongiurare futuri emblematici reperti storici …

Per di più il cielo, sereno al mattino, si è coperto. Ritirata strategica dei nostri eroi ma Giove Pluvio colpisce: pioggia insistente sino alle auto. E sì che “qualcuno” si era anche portato gli occhiali da sole ..

Atto III

Fine maggio. Raduno regionale giovanile al Passo Maniva, organizzato dalla Sezione di Brescia: tanti giovani, da molte sezioni lombarde. Stando alle cartoline, ampi panorami, paesi prealpini raccolti attorno alla chiesa ed immersi nel verde, fitti boschi di castagni, morbide costiere dai pascoli cosparsi di mandrie. In realtà ottima nebbia da tamponamenti in Val Padana. “Qualcuno” ipotizzò trattarsi solo di un mare di nubi, di certo più in alto viveva il sereno e naturalmente valeva la pena di fare un giro nei dintorni … a dispetto di una accentuata “umidità” presente nell’aria. lnequivocabilmente si registrò un ritorno fradicio di tutta la compagnia ansiosa di ritrovar rifugio nel confortevolissimo e asciutto pullman.

Atto IV

Passarono due settimane, altra gita, altra pioggia. “Qualcuno” s’era fornito di occhiali a specchio. Ovviamente in quell’umido mattino non fece alcun cenno a tali pericolosi e compromettenti oggetti. Nonostante ciò, nessuna paura! Gli eroi indossarono mantelle e giacche a vento, trovarono (strano a dirsi!) il sentiero giusto e tra paesaggi ovattati, con sintomi di crisi di qualche giovanissima donzella, giunsero alla sospirata meta. Equazione dalla vetta:

nebbie vaganti + paesaggio carsico + un “pizzico” di atmosfera da inferno dantesco = paesaggio dalla Cima di Grem, m. 2049.

Chiaro, quindi, che dopo una siffatta visione, il resto non ebbe più storia. Non  ebbe storia il viscido pendio erboso della discesa, il sentiero a tratti semicancel1ato che tagliava il ripido versante occidentale del monte, gli ormai insperati prati del Colle di Zambia e, dulcis in fundo, il sole beffardo che ci accolse appena giunti alle auto …

Atto V

Ultima domenica di giugno 1981: un pullman, l’unico, percorreva quel mattino, tra furiosi scrosci di pioggia, la strada provinciale della Val Brembana. Indovinate un po’ chi trasportava? Ma sì – l’avrete capito – i nostri eroi, la loro mascotte, un cucciolo di pastore tedesco, ed il solito “qualcuno” con i soliti occhiali a specchio. I più ormai sentenziavano un sicuro nesso logico tra tali occhiali e le condizioni meteorologiche. Fu così che, in mezzo alla smagliante e splendida vegetazione della Val Salmurano, tra pastori e greggi, consueta nebbia, consueta pioggerella, si raggiunse, scuola di orientamento permettendo, il Passo di Salmurano.

Decisi (non si poteva fare altro) di proseguire lungo il novello Sentiero delle Orobie Occidentali verso i Piani dell’Avaro. Tratti brulli e sassosi si succedevano a splendide fioriture ed a fischi di marmotte. Ormai in vista del rifugio, ennesimo salutare lavacro, tra brontolii “anche” di tuono. Meritato ristoro, dopo di che, con la mascotte addormentata nello zaino di una delle “guide”, discesa per la vecchia e semi abbandonata mulattiera dei Piani dell’Avaro sino ad Ornica, ovviamente in compagnia di un sole ormai degno della stagione.

Altri atti, penultimo escluso

Si svolsero altre gite, alcune furono annullate poco prima della partenza per motivi ovvi, ormai noti anche ai nostri manzoniani ventidue lettori. La nostra nomea fu tale che, nelle ultime gite, qualche eroe si presentò armato di gommone ed attrezzature varie per la pesca. Cosa pensarono, i maligni, lasciamo lo immaginare al ventiduesimo lettore …

Penultino atto

Ma vi fu anche una gita in cui, dimenticati occhiali da sole e brutto tempo, ci si ritrovò in una delle più belle zone delle Alpi: il Parco Nazionale del Gran Paradiso. In compagnia di altri irriducibili giovani della Sottosezione di Alzano, si decise per il Rifugio Vittorio Sella, nel vallone di Lauson, in Valnontey. Veloce visita al Giardino Alpino Paradisia straripante di fiori anche esotici e di polvere, poi lenta salita al rifugio sotto un sole in vena di riappacificazione. In seguito i ricordi si focalizzano in momenti ed immagini: valli profonde, cime multiformi, il volto del rifugista, stambecchi in combattimento nelle brume della sera, miriadi di stelle vicine … Una vecchia mulattiera di caccia dei Reali di Casa Savoia, una marmotta, un ermellino, gialle morene relitti di antichi ghiacciai, camosci che saltano da una cengia all’altra … Ed ancora: donzelle che abbozzano i primi passi in roccia … ed altre, un po’ più giovani, che si fanno trasportare sulle spalle, sempre delle loro “guide”; il fotografo ufficiale del gruppo, con tanto di cavalletto, in cerca di fiumane di ghiaccio e montagne maestose da fissare nell’obiettivo, paesaggi che probabilmente rimarranno solo “dentro” di noi; il sorriso dell’accompagnatore del Parco mentre ci parla dei suoi monti o dei nostri conterranei che, dopo la guerra, lavoravano nelle miniere di Cogne, uomini di montagna tra uomini di montagna; e tante, tante altre … Sicuramente da quel giorno una parte di noi è restata tra quelle valli e quelle montagne.

Commiato

Esperienze, momenti, attimi di intensa partecipazione umana: di cosa altro è fatta la vita? Riscoperta di una verità antica quanto l’uomo: gioia è donare un poco di se stessi, del proprio tempo, sacrificare qualche ambizione a favore di altri.

Momenti: raccogliere i bossoli di cartucce “per portarle alla Forestale”; cogliere quel fungo “perché, sai, cresce solo sotto quell’albero”; scoprire quanto una lattina scolorita possa violentare un prato verde. Ascoltare i loro piccoli problemi, uno scarpone che fa male, lo zaino che pesa … – È potabile quell’acqua? -. Invitarli a fermarsi, a guardarsi intorno. E scoprire se stessi, tramite loro, improvvisamente come una marea di fiori gialli appare appena superata una cresta.

Essere là per rendere partecipe qualcun altro, per insegnare la comprensione della natura. E invece rendersi conto che siamo noi, in fondo, ad imparare, e molto, sulla natura dell’uomo. Al di fuori di ogni convenzione, di ogni conformismo, di ogni abitudine preconcetta. Un insegnamento; ma anche un obbligo morale di una intera generazione.

Tornando in pullman, Paola, una scatenata figlia del 1973, seduta sulle mie ginocchia, voleva che le parlassi del mio cane, della mia casa, di quante dita ci fossero in due mani (nove, ovviamente). In quel momento alla radio trasmettevano un appello alla pace di una grande personalità di una grande personalità morale, ricordando la bomba di Hiroshima …

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